Cresce l’aborto “fai da te” e il Papa torna in trincea

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Cresce l’aborto “fai da te” e il Papa torna in trincea

Cresce l’aborto “fai da te” e il Papa torna in trincea

30 Ottobre 2007

Mentre Benedetto XVI lancia il suo affondo sui temi etici e invita i farmacisti cattolici a fare appello all’obiezione di coscienza laddove si va contro la vita in modo diretto, come nel prescrivere farmaci abortivi, l’interruzione di gravidenza torna a fare notizia
e a far parlare di sé. E anche gli stessi che lo considerano un diritto
consolidato iniziano a preoccuparsi dell’aumento del numero delle interruzioni
di gravidanza.

Qualche giorno fa in Gran
Bretagna Lord Steel, il padre della legge introdotta quarant’anni fa per
legalizzare le interruzioni di gravidanza, ha dichiarato che gli aborti nel suo
paese sono diventati troppi: più di duecentomila – considerando anche le donne
irlandesi che vanno ad abortire in Inghilterra – rispetto ai 55.000 del 1967,
quando la legge entrò in vigore.

In Gran Bretagna si vorrebbe
renderlo ancora più accessibile nei primi tre mesi di gravidanza, eliminando il
certificato congiunto di due medici, e consentendo di effettuarlo anche alle infermiere.
Un ruolo importante nella liberalizzazione lo avrebbe la pillola abortiva, la Ru486, che dovrebbe diventare
la forma  più semplice di aborto
fai-da-te (DIY, Do It Yourself).

Con la “horror pill” – come
l’ha definita India Knight su The Sunday Times il 17 ottobre scorso – si
vorrebbe infatti permettere in Gran Bretagna, come accade già in Francia,
l’aborto a domicilio: la brutale verità dell’aborto fai da te, l’eloquente
titolo del pezzo della Knight, nel quale l’editorialista – non certo di area pro-life
– descrive la brutalità dell’aborto chimico casalingo. La donna, dopo aver
preso dal medico  la prima delle due
pillole abortive, la Ru486,
che fa morire l’embrione in pancia, se ne torna a casa e ingoia la seconda: si
chiude in bagno e fra i crampi e perdite di sangue espelle l’embrione morto e
tira lo sciacquone. La Knight
lo definisce un “atto di estrema brutalità verso le donne. […] E la mattina ci si aspetta che lei si alzi come se niente
fosse successo, e continui la sua vita, senza dare neanche un’occhiata alla
tazza del bagno”.

“Vai a bere con
un gruppo di amiche e parla di bambini, ce n’è sempre una o due che farfuglia
qualcosa tipo: “Ne avrei uno di venti anni, adesso”, oppure “Non significava
assolutamente niente per me allora, ma adesso….”

Dall’altra parte
del mondo, allarme nazionale: sul China Daily, quotidiano governativo cinese,
viene espressa preoccupazione per i dieci milioni di aborti registrati
nell’ultimo anno.  Molte le donne che
abortiscono ripetutamente, specie fra le più giovani “che affrontano la
tematica dell’aborto come se dovessero trattare un raffreddore”.

In entrambi i
casi si imputa l’eccessivo ricorso all’aborto alla mancanza di informazione e
di contraccezione.

Effettivamente in
Cina l’aborto è considerato un metodo contraccettivo, come è sempre successo,
d’altra parte, in tutte le dittature comuniste: è bene ricordare che fu Lenin
nel 1920 a
legalizzare per primo l’aborto, nel mondo, e che le statistiche delle
organizzazioni internazionali hanno sempre registrato la ex- Unione Sovietica e
i paesi satelliti come quelli a maggiore abortività.

%3Cp>Nel rapporto ONU
“Monitoraggio della popolazione mondiale 2002 – diritti riproduttivi e salute
riproduttiva”, i primi 18 posti nella classifica mondiale della percentuale di
aborti spettano a regimi ex- o ancora comunisti: dal 65% della federazione
russa, al 53% della Romania, al 41% dell’Ungheria fino al 27% della Slovacchia.

Il rapporto sottolinea la
presenza di una “cultura abortiva” in questi paesi, in cui l’aborto è tuttora
ritenuto più sicuro di tanti altri metodi contraccettivi. Le percentuali riportate
sono inferiori a quelle registrate precedentemente alla caduta dell’impero
sovietico, ma restano pur sempre fra le più elevate al mondo, nonostante la
contraccezione moderna sia sempre più utilizzata.

In Gran Bretagna, invece, la
diffusione della contraccezione è da sempre elevata, e dal 1990 è disponibile
la pillola del giorno dopo, che aveva raggiunto 800.000 prescrizioni l’anno fino
a che, dal 2001, si può acquistare senza ricetta medica. Dal 2002 il Ministero
della Sanità ha deciso di distribuire pillole e contraccettivi nelle scuole: riesce
difficile pensare che manchi un’adeguata informazione, soprattutto fra i
giovani.

D’altra parte Cina e Gran
Bretagna, pur con storie e culture diversissime e con una condizione femminile
agli antipodi, non possono certo dirsi subire l’influenza della morale
cattolica, da sempre contraria alle pratiche contraccettive: per entrambe i
paesi non si possono invocare le solite ingerenze vaticane che limiterebbero
l’uso di mezzi di controllo delle nascite.

L’uso della contraccezione non
sembra far diminuire drasticamente, sempre e comunque il numero degli aborti, o
quantomeno non argina il fenomeno. E laddove è stato usato l’aborto come metodo
di pianificazione familiare, il successivo diffondersi della contraccezione ne diminuisce
il numero, ma non di molto.

Nei paesi occidentali una
volta vinta la battaglia per l’approvazione delle leggi di regolamentazione
dell’aborto, i vari gruppi di pressione, il dibattito pubblico e la politica
non si sono più occupati della questione, lasciando che, col tempo, l’aborto si
trasformasse da “extrema ratio” nella vita di una donna, a un evento tutto
sommato possibile, che si continua a definire drammatico ma che sempre meno
viene preso in carico dalla collettività. Abortire viene considerata la
soluzione di un problema personale di una donna, che spesso in nome della
libera scelta viene lasciata sola davanti ad un’unica possibilità – quella di
interrompere la gravidanza, appunto.

Negli ambienti
pro-life da sempre si è sostenuto che l’introduzione delle leggi  di regolamentazione dell’aborto, se non molto
restrittive, avrebbero contribuito a creare una cultura favorevole alle
interruzioni di gravidanza. Si è dimostrata falsa l’idea secondo la quale
facendo venire alla luce un fenomeno tenuto in clandestinità, gli aborti
sarebbero diminuiti perché controllati e regolamentati.

La questione non
è meramente medica, non riguarda la quantità di mezzi contraccettivi a
disposizione e la loro diffusione: è evidente che il problema è più profondo, e
coinvolge un atteggiamento di fronte alle relazioni affettive, una
consapevolezza delle proprie azioni, un’educazione alla responsabilità
personale, la comprensione del valore e del significato della maternità.
Argomenti che attraversano gli schieramenti pro-choice e pro-life, e che
meriterebbero di essere affrontati al di là di quei pregiudizi ideologici che
per decenni hanno bloccato qualsiasi riflessione pubblica comune sul tema.