Criminalità. L’impresa mafiosa vale 130 mld di euro

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Criminalità. L’impresa mafiosa vale 130 mld di euro

11 Novembre 2008

Proprio nel giorno in cui la Banca d’Italia riferisce il nuovo record per il livello del debito pubblico italiano, che ad agosto è salito a 1.667,2 miliardi di euro, su tutti i giornali compare la notizia sulla capacità economica della mafia “imprenditoriale”: muove nientemeno che un fatturato di 130 miliardi di euro e un utile attorno ai 70 miliardi.

I dati sono contenuti nel Rapporto presentato dalla Confesercenti di Sos Impresa “Le mani della criminalità sulle imprese”, giunto alla sua undicesima edizione, che vuole offrire una panoramica più ampia su tutte le attività illegali delle organizzazioni mafiose. Lo scopo è quello di evidenziarne la potenza finanziaria, la grande liquidità di denaro disponibile e, di conseguenza, i rischi che ne derivano per l’economia italiana, e non solo, in questa particolare, difficile congiuntura economica. Infatti, da questo punto di vista, la mafia Spa sta minacciando l’economia del paese.

Il solo ramo commerciale della criminalità mafiosa e non, che incide direttamente sul mondo dell’impresa ed è oggetto specifico della ricerca, ha ampiamente superato i 92 miliardi di euro, una cifra intorno al 6% del Pil nazionale. Ogni giorno una massa enorme di denaro, si sottolinea nel Rapporto, “passa dalle tasche dei commercianti e degli imprenditori italiani a quelle dei mafiosi, qualcosa come 250 milioni di euro al giorno, 10 milioni l’ora, 160 mila euro al minuto”.

Il Rapporto analizza il peso crescente della cosiddetta mafia imprenditrice, ormai presente in ogni comparto economico e finanziario del sistema Paese, e si sofferma ampiamente sui settori di maggiore spessore criminale, sia per quanto riguarda l’attività predatoria, rappresentate dal racket delle estorsioni e dall’usura, sia per quella del reinvestimento, con particolare attenzione, oltre al commercio e al turismo, all’industria del divertimento, alla ristorazione, agli autosaloni, al settore della moda e persino dello sport, ai comparti dell’intermediazione e delle forniture.

“L’attività imprenditoriale delle mafie ha prodotto un’organizzazione interna tipicamente aziendale con tanto di manager, dirigenti, addetti e consulenti”. L’idea della vecchia banda che si riuniva in occasione del “colpo” e, solo quando questo andava a buon fine, veniva spartito il “bottino” tra i suoi componenti sembra ormai superata abbondantemente. Secondo il Rapporto, oggi i clan più potenti agiscono in un universo completamente diverso. In primo luogo, le attività criminali sono diventate permanenti e quotidiane: un sistema che ricomprende la gestione delle estorsioni, dell’usura, dell’imposizione di merce, dello spaccio di stupefacenti e che, quindi, necessita di un organico in pianta stabile, sia per la riscossione del pizzo, sia per la diversificazione delle opportunità di investimento e per il controllo delle forze dell’ordine.

Per questa ragione, gli affiliati vengono inseriti con mansioni ben precise, percependo persino uno stipendio: la “mesata”, che varia in base all’inquadramento, al livello di responsabilità e alla capacità economica del clan di appartenenza. Quindi, prosegue il Rapporto “è del tutto naturale che clan diversi riconoscano mesate diverse per lo stesso lavoro svolto. Remunerazione che si muove con una forbice che va dai 10mila-40mila euro del capo clan, di fatto un amministratore delegato, fino ai 1.000 euro del gradino più basso della scala gerarchica, quello rappresentato dagli spacciatori minorenni”.

Il settore maggiormente in crescita è quello dell’usura. Questo reato segnala un aumento degli imprenditori colpiti, della media del capitale prestato e degli interessi restituiti, dei tassi di interesse applicati, facendo lievitare il numero dei commercianti colpiti ad oltre 180.000, con un giro d’affari che oscilla intorno ai 15 miliardi di euro. In Campania, Lazio e Sicilia si concentra un terzo dei commercianti coinvolti. Preoccupa anche il dato della Calabria il più alto nel rapporto attivi/coinvolti. La Campania detiene il record degli importi protestati (736.085.901 euro) seguita dalla Lombardia e dal Lazio. Il Lazio è invece in testa alla classifica per numero dei protesti lavati. Lo stesso Lazio (5,34%), la Campania (4,46%) e la Calabria (3,53%) sono le regioni con il più alto numero di protesti in rapporto alla popolazione residente. Napoli è la città nella quale lo scorso anno si sono registrati più fallimenti (7,2%) che rappresenta il 15% del totale nazionale. Tutti sintomi di una fragilità e debolezza che colpisce innanzitutto i negozi, grandi o piccoli che siano.

Alle aziende coinvolte vanno aggiunti gli altri piccoli imprenditori, artigiani in primo luogo, ma anche dipendenti pubblici, operai, pensionati, facendo giungere ad oltre 600.000 le persone invischiate in patti usurari, a cui vanno aggiunte non meno di 15.000 persone immigrate impantanate tra attività parabancarie ed usura vera e propria. Di altro segno il racket delle estorsioni, dove rimane sostanzialmente invariato il numero dei commercianti taglieggiati con una lieve contrazione dovuta al calo degli esercizi commerciali e all’aumento di quelli di proprietà mafiosa. Cala anche il contrabbando, in parte sostituito da altri traffici. Mentre cresce il peso economico della contraffazione, del gioco clandestino e delle scommesse.

I nuovi “Signori del racket”, pur mantenendo il ferreo controllo sui negozianti, sui giovani che vogliono avviare una piccola impresa, sulle botteghe artigiane sulle strade, sui banchi al mercato, hanno ampliato i loro orizzonti. Infatti, aprono attività commerciali in proprio, investono i proventi illeciti in attività legali, hanno il controllo di quote consistenti di società e marchi note. E’ proprio in questo settore che le mafie si stanno espandendo.

In particolare, l’ambito di maggiore interesse sono le imprese legate all’edilizia. E’ quanto risulta dallo studio su 30 disposizioni di sequestro, per un totale di 100 aziende. “Si conferma ancora una volta come l’edilizia (37,5%) in tutte le sue fasi sia il settore nel quale si concentrano maggiormente gli interessi mafiosi, seguito dalle attività commerciali e della ristorazione (20%), dall’autotrasporto (9%) e dall’industria del divertimento (7,4%)”. Infatti, spiega il Rapporto che sono tutte attività che consentono una forte circolazione del denaro, richiedono apporto di capitali, ma necessitano di scarso know how gestionale, intervengono nei settori su cui sono consolidate le capacità di condizionamento del mercato. Aziende, viene specificato, “quasi sempre società a responsabilità limitata (srl), che vengono gestite direttamente o attraverso un prestanome”.

All’espansione e la diversificazione del fenomeno si contrappongono i dati che rivelano l’aumento dl 30% delle persone denunciate per estorsione in Italia negli ultimi 5 anni e “presumibilmente, sarà in crescita anche nel 2008”. Gli aumenti più significativi si registrano in Campania e significativamente alle province di Napoli e Caserta. Il peso sul totale delle quattro regioni a rischio, Puglia, Campania, Calabria, Sicilia, continua a calare rispetto al resto dell’Italia scendendo abbondantemente sotto il 50%. Questo dato, però deve far riflettere: “è il prodotto -rileva il Rapporto- della contestuale riduzione delle denunce in Sicilia ed in Calabria con l’estendersi del pizzo oltre i tradizionali confini delle regioni cosiddette a rischio”. Nel centro-nord, invece, è forte la presenza di denunce di estorsioni finalizzate all’usura, o casi di truffe denunciate come estorsioni, ovvero estorsioni tentate da singoli (malavitosi, tossicodipendenti, extracomunitari) verso soggetti imprenditoriali.

Il Rapporto conclude il suo studio riconoscendo l’importanza della collaborazione degli imprenditori che rendono testimonianze sempre più complete e precise, riconfermate da più persone. “Ciò consente di avviare indagini più efficienti che conducono all’arresto di boss importanti, che prima si omettevano limitandosi alle mezze-figure, nonché alla disarticolazione di intere famiglie e clan”.