Crisi con Londra e Washington, l’Italia ai margini dell’alleanza

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Crisi con Londra e Washington, l’Italia ai margini dell’alleanza

21 Marzo 2007

All’unisono il dipartimento di Stato americano e il Foreign Office inglese hanno condannato con parole durissime la trattativa italiana per la liberazione di Daniele Mastrogiacomo. Sono bastati pochi lanci di agenzia per mandare in frantumi la favoletta raccontata dai giornali amici (quasi tutti) sull’idillio D’Alema-Rice.

Londra si dice “preoccupata dalle implicazioni del rilascio di talebani in cambio di ostaggi: si manda un segnale sbagliato ai sequestratori. Washington è ancora più dura: “le concessioni hanno aumentato il rischio per la Nato, per le truppe afgane e per il popolo afgano. Gli Usa non hanno mai appoggiato e non appoggiano concessioni ai terroristi”. Ma non basta, dalla Casa Bianca hanno anche fatto sapere di essere rimasti “sorpresi” per le modalità e l’entità delle concessioni, di cui si dicono “scontenti e delusi. Le proteste di Londra e Washington, fanno sapere le fonti, sono state inoltrate al governo di Roma “attraverso gli appropriati canali diplomatici”.

Il linguaggio che viene usato nei confronti dell’Italia non è quello che si riserva ad un alleato, tanto più se impegnato in un’azione militare comune, ma rivela il gelo e la diffidenza che si usa con un paese non affidabile.

Il dipartimento di Stato americano è arrivato divulgare notizie e valutazioni sulla presenza militare italiana in Afghanistan da cui è difficile non cogliere  – accanto agli effetti tragici-  il senso del ridicolo. Viene infatti evocata l’assurda circostanze per cui, grazie alle severe regole d’ingaggio cui sono sottoposti i soldati italiani, non è stato possibile portare Mastrogiacomo fuori dal paese con un aereo militare, ma si è dovuto far ricorso ad un aereo di Emergency. Questo avrà forse fatto contento Fausto Bertinotti e la sua “diplomazia” dei movimenti ma ha certamente messo in burla la missione italiana.

Senza contare l’ulteriore delegittimazione dei servizi segreti – già duramente screditati per le vicende legate al rapimento di  Abu Omar – e ora platealmente messi da parte in favore di un medico amico dei talebani e della sua organizzazione.

Anche in Afghanistan, il presidente Karzai ha cominciato a misurare i costi della sua decisione di assecondare – seppure controvoglia – le richieste italiane.

Una manifestazione di circa 150 parenti dell’autista ucciso dai talebani ha protestato contro la poca attenzione del presidente verso il loro congiunto, e crescono nel paese le preoccupazione per la sorte dell’interprete di cui si sono perse le tracce.

Ma anche sul fronte politico si sono fatte sentire voci di protesta. In particolare dalle componenti Tagike e Uzbeke del parlamento afghano che assieme fanno il 43 per cento della popolazione. L’accusa è che Karzai abbia scelto in solitudine, senza consultare governo e parlamento e senza considerare la pericolosità, per gli stessi afghani, dei terroristi rilasciati.

Insomma, mentre a Roma il governo si gingilla con vallettopoli, in Europa e negli Usa si comincia a mettere in discussione i termini dell’alleanza e il ruolo dell’Italia nella Nato.

L’effetto del cedimento italiano, sostengono gli osservatori, non tarderà infatti a farsi sentire sul campo. Il modo plateale e arrendevole con cui si è trattato con Mastrogiacomo è già considerato un precedente dai Talebani che non mancheranno di concentrarsi ancora sugli italiani. E se come sembra, i giornalisti sono tutti sulla strada del rientro, i bersagli preferiti saranno proprio i soldati italiani.

Un quadro del genere, propri alla vigilia del lancio dell’operazione Achille da parte della Nato crea grande preoccupazione sia sul piano tattico che su quello strategico.

Le truppe italiane infatti, oltre a non essere utili sul piano operativo a causa dei molti “caveat” a cui sono sottoposti, divengono ora un punto debole della coalizione se fatti oggetto di rapimenti e riscatti.

Non è un caso se il ministro della Difesa, Arturo Parisi, si è ben guardato dallo smentire il suo fermissimo malcontento su come è stata gestita la liberazione di Mastrogiacono e sulle conseguenze che questa rischia di avere sui suoi soldati.

La crisi internazionale in corso ha anche animato la riflessione della Cdl. Berlusconi è tornato a valutare l’idea di una astensione nel voto sul decreto di finanziamento della missione in Afghanistan. Specie se a chiederla sono un ministro degli Esteri che vuole trattare con i Talebani, un ministro della Difesa pentito e un presidente del Consiglio scomparso. Ma la condizione è che il centro-destra non si divida su questa scelta e le cose, in questo senso, devono ancora maturare.