Crisi: i due anni che hanno cambiato il volto dell’economia mondiale
10 Agosto 2009
Due anni fa il mondo è cambiato. Perfino gli scettici se ne sono accorti. Due anni fa iniziava la crisi dei mutui subprime, concessi a soggetti senza garanzie o cattivi pagatori. Una crisi in cui si possono identificare varie fasi. Dalla scoperta della bolla del mercato immobiliare statunitense alla crisi di liquidità degli istituti di credito, dall’intervento degli Stati alla ridefinizione delle regole finanziarie. Senza dimenticare le conseguenze della crisi sul mondo industriale, con la peggior recessione dal secondo dopoguerra. In mezzo, i molti cittadini che ancora oggi faticano a comprendere cosa è successo nell’agosto di due anni fa.
Le prime avvisaglie di crisi è avvenuta con Countrywide Financial nella primavera del 2007, ma è con il crollo di due hedge fund gestiti dalla banca americana Bear Stearns che si propaga il panico da New York all’Europa. Il Sole 24 Ore scopre che il colosso bancario francese Bnp Paribas è esposto per 2,2 miliardi sui subprime, chiude alcuni fondi obbligazionari e la Banca centrale europea (Bce) decide di intervenire fornendo 100 miliardi di euro ai mercati, per evitare una crisi di liquidità che sembra ormai vicina. Nei giorni successivi, gli istituti di credito cominciano a domandarsi quali siano le mele marce del sistema, quali siano le banche che in portafoglio hanno mutui subprime. Nessuno si fida più degli altri, nemmeno fra gli investitori, e iniziano le vendite nelle piazze finanziarie di mezzo mondo. Intorno a Ferragosto, le Borse perdono miliardi di capitalizzazione in poche ore e anche la Federal Reserve decide che l’intervento a sostegno della liquidità è l’atteggiamento migliore da utilizzare. Peccato che il governatore della Fed, Ben Bernanke, inizialmente sottovaluti la crisi. La reazione delle istituzioni monetarie si fa così veloce, eccessiva e poco efficace. Nell’arco di pochi mesi arrivano notizie sempre più pesanti sulla quantità di clienti subprime che diventano insolventi e il mercato immobiliare americano crolla sotto la spinta dei pignoramenti.
Sebbene Bernanke e il presidente della Bce, Jean-Claude Trichet, affermino che la crisi in realtà è già terminata, il peggio inizia nel marzo 2008, quando la banca Bear Stearns dichiara fallimento. Intanto, aumentano le voci dell’esposizione di Fannie Mae e Freddie Mac, le due agenzie semigovernative che gestiscono buona parte del mercato dei mutui statunitensi. Per loro, nonostante i tentativi di ripresa, il destino sarà quello di passare in mano statale. Il mercato americano è ormai al collasso e si moltiplicano i casi di fallimento bancario. Il più famoso è quello di Lehman Brothers, che lunedì 15 settembre 2008 si iscrive al Chapter 11 del Bankruptcy Us Code. Le settimane successive saranno ricordate come le peggiori di Wall Street, con gli indici che perdono il 40 per cento del loro valore in pochi giorni. Incredibilmente, scompare il mondo delle banche d’affari, con i due giganti bancari Morgan Stanley e Goldman Sachs che chiedono di aprirsi alla clientela commerciale cambiando il loro status. E in Europa, si moltiplicano le banche che sono esposte sui derivati, mentre il virus inizia a trasferirsi al settore industriale e le banche centrali corrono ai ripari tagliando i tassi più che possono. La speranza, infatti, è quella di dare ossigeno ai mercati, per evitare un credit crunch che però è già in atto. Difficile per le imprese ottenere un prestito, mentre vacilla il sistema di Basilea 2, indicato da molti come una delle concause della crisi.
Intanto, si modifica il ruolo dello Stato all’interno dell’economia e si preferisce alimentare l’azzardo morale attraverso nazionalizzazioni e misure a sostegno del sistema. Il governo americano, ancora sotto la guida di George W. Bush, decide di intervenire attraverso il Troubled Asset Relief Program (Tarp). Ideato dal segretario al Tesoro, Henry Paulson, il Tarp ha stanziato 700 miliardi di dollari per tutte le società finanziarie a rischio bancarotta. Come se non bastasse, la Fed decide di fornire 800 miliardi con il Term Asset-Backed Securities Loan Facility (Talf) e taglia i Fed Funds fino ad azzerarli, comprendendoli in un range fra lo 0 e lo 0,25 per cento. Anche la Bce taglia i tassi, ma non li azzera, mossa considerata positiva dagli analisti finanziari. Tuttavia, questo non basta ancora per riequilibrare i mercati e negli Stati Uniti il neo presidente Barack Obama vara, di comune accordo col segretario al Tesoro Timothy Geithner, il Financial Stability Plan che mette sul piatto oltre 2 trilioni di dollari. Ma la crisi è troppo profonda e arrivano anche il Public-Private Partnership Investment Program (PPIP) e il Financial Regulatory Reform. Il mondo scopre che i subprime hanno ripercussioni su tutti i settori produttivi e comincia la crisi occupazionale.
Difficile affermare quando e come finirà questa crisi. Nell’arco degli ultimi due anni sono stati sprecati ettolitri d’inchiostro per trovare una spiegazione razionale su ciò che è successo e su come sarà il futuro. I colpevoli tutti li sanno e nessuno li dice. Più semplice condannare a 150 anni di carcere il 71enne ex presidente del Nasdaq, Bernard Madoff, per una truffa da 65 miliardi di dollari che però coi subprime c’entra poco. In questo caso è chiara la colpevolezza di Madoff, ma cosa sarebbe successo se si fosse costituito in tempi non sospetti e non il 12 dicembre scorso?
Restano i quasi 4 trilioni di dollari bruciati dalle banche, gli oltre 7,7 trilioni di dollari di capitalizzazione di Borsa bruciati secondo Bank of America, il fallimento di migliaia di imprese, la distruzione di milioni di posti di lavoro e una sensazione sgradevole. Infatti, a due anni dallo scoppio della bolla immobiliare americana, ci domandiamo ancora quali siano state le cause, dando la colpa a uno strumento finanziario, i derivati, dimenticandoci il loro creatore, noi. Ciò significa che non solo non si è individuata la causa delle distorsioni, ma si corre il rischio di crearne altre. E il mercato del credito al consumo è forse la prossima.