Crisi. Istat, nel 2009 la pressione fiscale al 43,2%

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Crisi. Istat, nel 2009 la pressione fiscale al 43,2%

Crisi. Istat, nel 2009 la pressione fiscale al 43,2%

28 Giugno 2010

Sale dal 42,9 al 43,2% la pressione fiscale in Italia nel 2009. È Istat nel Conto economico consolidato delle Amministrazioni pubbliche, nella versione provvisoria relativa all’anno 2009, a fotografare così uno degli effetti della della crisi sulla finanza pubblica.

Tale risultato è l’effetto di una riduzione del Pil superiore a quella complessivamente registrata dal gettito fiscale e parafiscale, la cui dinamica negativa (-2,3 per cento) è stata attenuata da quella, in forte aumento, delle imposte di carattere straordinario (imposte in c/capitale), cresciute in valore assoluto di quasi dodici miliardi di euro. Infatti, fra le imposte straordinarie sono classificati i prelievi operati in base al cosiddetto "scudo fiscale", per un importo di circa 5 miliardi di euro, e i versamenti una tantum dell’imposta sostitutiva dei tributi, che hanno interessato alcuni settori dell’economia, in particolare quello bancario.

Per quel che riguarda le entrate totali l’Istat registra come siano diminuite dell’1,9 per cento, interrompendo così la tendenza alla crescita degli ultimi anni. Tuttavia, a causa della caduta del Pil, l’incidenza su quest’ultimo è pari al 47,2 per cento, in aumento rispetto al 46,7 per cento dell’anno precedente. La componente di gran lunga più rilevante delle entrate complessive, oltre il 90 per cento, prosegue, è rappresentata dal prelievo fiscale e parafiscale (imposte e contributi sociali).

Tutte le altre componenti del prelievo fiscale, annota ancora l’Istat, sono risultate in calo: le imposte indirette del 4,2 per cento, dopo essere diminuite già del 4,9 nel 2008, le imposte dirette del 7,1 per cento e i contributi sociali effettivi dello 0,5 per cento. La flessione delle imposte dirette è dovuta essenzialmente al calo del gettito Ires (-23,1 per cento) rispetto al 2008, mentre quella delle imposte indirette ha risentito delle significative diminuzioni del gettito dell’Iva (-6,7 per cento) e dell’Irap (-13,0 per cento).

In Europa, siamo allo stesso livello della Francia ma inferiore a quella di Belgio (45,3 per cento) e Austria (43,8 per cento), oltre che rispetto ai paesi scandinavi, i cui più evoluti sistemi di welfare hanno storicamente richiesto un maggiore ricorso alla fiscalità generale. Danimarca e Svezia, infatti, presentano i valori più elevati della pressione fiscale (rispettivamente 49,0 per cento e 47,8 per cento), mentre quelli più bassi si riscontrano in Lettonia (26,5 per cento), Romania (28,0 per cento), Slovacchia e Irlanda (29,1 per cento), Lituania (29,3 per cento) e Bulgaria (30,9 per cento).

Dalle statistiche sui conti ed aggregati economici delle amministrazioni pubbliche diffuse oggi dall’Istat risulta che la spesa pubblica nel 2009 ha sfiorato gli 800 miliardi di euro e ha superato, in valori percentuali, oltre la metà del prodotto interno lordo, tornando ad un ‘pesò che era tale solo negli anni Novanta. La spesa pubblica totale lo scorso anno è stata pari a 798,854 miliardi di euro, il 52,5% del Pil. Risulta in crescita, in rapporto al prodotto interno lordo, per il terzo anno consecutivo. Per tornare ad un peso tale sull’economia, oltre la metà della ricchezza prodotto in Italia, bisogna tornare al 1996 quando il rapporto spesa-Pil era al 52,6% (ma nel ’93 era arrivata anche al 56,6%). Come in tutta Europa hanno pesato i costi degli ammortizzatori sociali.

Nel confronto con gli altri Paesi europei, la spesa complessiva dell’Italia in rapporto al Pil, al lordo delle vendite di beni e servizi e al netto degli ammortamenti, è stata più alta di 1,3 punti percentuali rispetto alla media dei sedici Paesi dell’area dell’euro e di 1,2 punti percentuali rispetto alla media complessiva dei paesi dell’Ue. Nell’ambito delle spese correnti, i redditi da lavoro dipendente (che incidono per circa un quinto sul totale delle uscite) sono saliti, in Italia, dell’1%, con un ritmo molto inferiore rispetto al 2008 (3,6%). Le spese per consumi intermedi hanno registrato un aumento del 7,5%, proseguendo la tendenza degli anni precedenti; le prestazioni sociali in natura, che includono prevalentemente le spese per assistenza sanitaria in convenzione, sono aumentate del 4% contro una variazione del 2,2% rilevata nel 2008. Di conseguenza, la spesa per consumi finali delle amministrazioni pubbliche è aumentata del 3,3%, in rallentamento rispetto alla crescita del 4,3% del 2008.

"Il contributo più importante alla crescita della spesa, in Italia, come negli altri paesi Ue, proviene – sottolinea l’Istat – dalle prestazioni sociali in denaro (pensioni, sussidi, ecc.): nel 2009 queste hanno segnato un’incidenza di oltre il 36% sulle uscite e una crescita rispetto al 2008 del 5,1%, dovuta all’effetto della crisi sugli ammortizzatori sociali". Nel 2009, la diminuzione dei tassi d’interesse ha avuto "un importante ruolo di contrasto alla crescita della spesa pubblica", rileva l’istituto di statistica. In Italia, la riduzione della spesa per interessi passivi (-12,2%), con un’incidenza pari a quasi il 9% sul totale delle uscite, e dopo un biennio in aumento, ha liberato risorse per circa 10 miliardi di euro, equivalenti a oltre mezzo punto percentuale di Pil.