Cristiane rapite in Pakistan e ignorate dalla polizia
23 Agosto 2007
“Appellarsi alla polizia è inutile. L’unica via legale per liberare le donne cristiane rapite in Pakistan dai mussulmani e costrette a convertirsi all’Islam e a sposarsi, potrebbe essere quella della magistratura. Ma nel Paese i cristiani sono una minoranza ed è praticamente impossibile che un giudice prenda in considerazione casi che li riguardano”. Così AsiaNews, l’agenzia di stampa del Pontificio Istituto Missioni Estere (Pime), commenta i rapimenti di due giovanissime ragazze cristiane, entrambi avvenuti nei giorni scorsi a Faisalabad, la terza città più grande del paese.
Le comunità cristiane in Pakistan sono una minoranza indifesa. Vittime di ingiustizie sociali, violenze e rapimenti, vivono nella povertà e nella completa mancanza di tutela dei diritti umani. Evidente conferma ne sono questi due casi, indipendenti, ma collegati da un filo rosso: i soprusi alle minoranze religiose e cristiane in particolare che nel Paese sono praticamente all’ordine del giorno. I rapimenti probabilmente rimarranno impuniti, come spiegano da AsiaNews, perché i mussulmani in questi casi solitamente costringono le donne cristiane a convertirsi e le obbligano a sposarli. Poi, una volta sposata, la donna diviene “proprietà” della famiglia pakistana e nessuno può fare niente per liberarla. Non esistono vie legali da percorrere, ma, soprattutto manca l’intenzione di ricercare strade alternative e soluzioni.
I cristiani che abitano queste terre e le donne in modo particolare si trovano a dover vivere all’ombra: la libertà può avere costi davvero alti come conversioni forzate, stupri e massacri. Tutto questo assomiglia molto alla storia di Zunaira Perveen, la ragazzina cristiana di appena undici anni rapita lo scorso 5 agosto da Muhammad Adnan e la sorella, due mussulmani che vivono nella colonia di Zulfiqar, nei pressi di Faisalabad. La bambina è stata strappata dalla sua casa, nella regione di Warispura ed è stata costretta a convertirsi all’Islam e a sposare il rapitore, Muhammad.
Adiba, la madre della piccola, ha fatto il possibile per cercare di liberare sua figlia e ha dovuto fare tutto da sola, perché sapeva che la polizia non l’avrebbe aiutata. Purtroppo i tentativi si sono rivelati vani. Infatti, ha raccontato la donna: “Appena mi sono accorta che mia figlia non c’era, sono corsa in strada a cercarla. Qui, due uomini mi hanno detto di aver visto Muhammad Adnan e la sorella andarsene con Zunaira”. Nella disperazione e nella paura Adiba si è quindi recata immediatamente presso la casa del mussulmano da dove, però, è stata respinta.
Rientrando a casa la donna è stata fermata dagli uomini che le avevano rivelato l’identità del rapitore e che si sono offerti di fare da mediatori in cambio di denaro. Adiba è povera, ma ha dato loro tutto ciò che possedeva: dodicimila rupie, circa duecento euro. E, a quanti le hanno chiesto il perché abbia scelto di non denunciare il fatto alla polizia locale, ha detto: “Non volevo informare la polizia, perché ora mia figlia appartiene alla famiglia di chi l’ha rapita. Purtroppo, mi sono resa conto che chi diceva di volermi aiutare mirava soltanto ai soldi: ho venduto tutto, ma non è bastato ed ora sono sola”.
Solo dopo questo inganno meschino la donna ha deciso di rivolgersi alla polizia, ma, come già aveva previsto, nessuno ha voluto aiutarla. Le forze dell’ordine locale le hanno infatti spiegato che qualunque tentativo sarebbe stato inutile: sul piano legale non avrebbero potuto fare niente perché ormai Zunaira è una donna sposata e quindi appartiene a quella famiglia.
In realtà, spiegano da AsiaNews: “Una via ci sarebbe. Ma è pressoché impraticabile. Zunaira infatti non avrebbe l’età legale per contrarre il matrimonio, è ancora troppo piccola”. In questo caso “appellarsi alla polizia è inutile perché non potrebbe fare niente. Bisogna rivolgersi alla magistratura. Ma i cristiani in Pakistan sono una minoranza, per di più molto povera. Per questo è praticamente impossibile che un giudice possa prendere in considerazione il fatto”. Ad aggravare la situazione sono poi le modalità di funzionamento dei processi nel Paese. Basti pensare che legalmente le testimonianze dei cristiani di fronte a un giudice non sono ritenute valide.
Quello di Zunaira è soltanto uno dei casi. Infatti, mentre Adiba, disperata, cercava invano ogni strada per riabbracciare sua figlia, sempre a Faisalabad si consumava il rapimento di un’altra giovane donna. Risale al 16 agosto il sequestro di Shumaila Tabussum Masih, sedici anni.
La ragazza si trovava in casa quando un musulmano di nome Mazher, accompagnato da alcuni complici, si è presentato alla giovane portandole la falsa notizia che il padre aveva avuto un grave incidente ed era ricoverato in ospedale. Shumaila, ignara dell’inganno e allarmata per le condizioni di suo padre, non ha esitato a fidarsi di quegli uomini e si è lasciata convincere a salire in auto con loro, senza attendere il rientro della madre. Durante lo spostamento in macchina la ragazza ha fortuitamente incontrato due zii, cui ha gridato la notizia dell’incidente del padre. Questi si sono immediatamente precipitati all’ospedale, dove, però, non hanno trovato nessuno. E lì non è arrivata nemmeno Shumaila, vittima del rapimento.
Appena Salamat Masih, il padre della giovane, è stato messo al corrente di quanto era accaduto, ha denunciato il fatto alla polizia. Ma ad AsiaNews ha confessato: “Sono molto preoccupato, perché casi come questi avvengono sempre più spesso: ragazze cristiane rapite, costrette alla conversione e poi date in moglie a dei perfetti sconosciuti”.
Il rapimento di Zunaira prima e quello di Shumaila poi si andranno ad aggiungere alla lista di quasi duemila casi di ingiustizie, violenze e conversioni forzate registrate nell’ultimo anno in Pakistan. La Commissione pachistana per i diritti umani ha contato, infatti, nell’ultimo anno, 1821 casi di violenza sulle donne. Un dato preoccupante e in continua crescita. Oltre che impreciso, considerando che non è facile stimare con esattezza i rapimenti, soprattutto nelle zone rurali del Paese, dove, come spiega AsiaNews “la gente vive nella paura e non li denuncia”.