Da Carducci al Burlesque

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Da Carducci al Burlesque

Da Carducci al Burlesque

01 Maggio 2011

DivinaMente Roma, un ricco festival (14–25 aprile) che gira intorno al centocinquantenario dell’Indipendenza, in spazi prestigiosissimi, da Villa Piccolomini, alla Sinagoga; direzione artistica di Pamela Villoresi.

Interessante un primo sguardo al libretto della cantata “Passione di S. Cecilia”, di Don Marco Frisina, evento musicale del 16 aprile, curato dalla stessa Villoresi e da Fiorella De Simone in una veste molto lussuosa, testo italiano e inglese, carta lucida. La pubblicazione ospita in apertura due pagine della partitura originale. Una scelta curiosa, perché sotto gli occhi (peccato che non ve la possiamo mostrare) ci appare una serie di pentagrammi senza una nota scritta, solo indicazioni di silenzio. Forse lo sprovveduto redattore (–trice) avrà immaginato che quei rettangolini appesi al secondo rigo significassero qualcosa di sonoro; bisognava avvertirlo/a che di pause si trattava. A meno che il compositore volesse ispirarsi a John Cage, il quale, una sessantina di anni fa portò in scena una composizione musicale fatta solo di silenzi. Noi però non crediamo a un’interpretazione così spiritosa.

Siamo stati al quarto appuntamento del festival, dedicato a Carducci, il Leone Maremmano, nella sala dell’Accademia dei Lincei alla Farnesina. Villa rinascimentale, giardino bellissimo, sul palco un’attrice vestita in biancorossoeverde, circondata da una formazione da camera. La Villoresi, proprio lei, sullo sfondo di diapositive dei Macchiaioli, a parlare al pubblico di Carducci, cominciando col racconto dell’ambasciatore svedese che va ad annunciare il Nobel al poeta ammalato, e poi srotolandone la biografia. Normale amministrazione, però…

Col procedere del racconto, la Villoresi si è messa a fare da sola tutte le voci, le vocine e le vocione. Quella dell’ambasciatore, seriosa e ufficiale, quella di Carducci ragazzo, pazzerella con forte accento toscano, per poi passare al parlare tremulo di Giosuè da vecchio. Naturalmente ci è stata recitata I Cipressi, dove, nell’ultimo verso c’è l’asino che “… a brucar serio e lento seguitò”. Beh ha fatto anche la voce dell’asino, puro Disney, concludendo con tre bei ragli (che nel testo naturalmente non ci sono) ih-ho, ih-ho, ih-ho. Da non credere. Un po’ ci ha ricordato una vecchia edizione di Pierino e il Lupo, in cui Eduardo de Filippo faceva il narratore, caratterizzando anche lui, però bene, tutti i personaggi, dall’anatra al nonno. Ma era De Filippo.

Naturalmente ci è stato servito anche il Pio Bove accompagnato da un valzerino poco agreste e più adatto a un caffè di Vienna, e l’Inno a Satana urlato con voce terribile su cacofonie di percussioni.

A questo punto dobbiamo avere avuto un mancamento perché quando siamo tornati in noi, il pubblico stava cantando l’Inno di Mameli. Per amor di patria, e per evitare il peggio siamo scappati.

E siamo andati a finire, indovinate dove? All’Accademia del Burlesque. Sì, è vero, ci ripetiamo; abbiamo fatto di nuovo il pellegrinaggio dalla muffa al lievito.

Al Teatro Centrale. Si trattava dell’ottava serata di un concorso di burlesque per ballerine non professioniste, ripresa TV per Sky Uno. Un’idea geniale del dj Alessandro Casella che per l’occasione si è presentato in un perfetto look americano anni cinquanta: baffetti, brillantina, giacca di lamé, bretelle e scarpe bicolori (pare che dopo le serate torni a casa su una Lambretta del ’59).

Naturalmente con tutte le caratteristiche di questo tipo di manifestazione. Il presentatore belloccio e un po’ greve; le partecipanti, diciamo così, in età; le esibizioni assolutamente dilettantesche, alcune con qualche buona trovata di costumi, merito di Paola Nazzaro (concorrente ma anche costumista), però sempre molto lontane dal professionale. Come mai, ci siamo chiesti, queste signore che hanno voglia di sgambettare e spogliarsi (sempre in modo castigato: il burlesque non arriva mai fino in fondo) non si sono guardate qualche vecchio film? Il materiale non manca davvero. Perché va bene roteare i pompon incollati ai capezzoli (che non è facile, ci dicono) o indossare pizzi da finta educanda. Bisogna anche inventarsi il numero, che ha da essere sexy, e ironico.

Eppure, anche se non professioniste, e qualcuna un po’ maldestra, avevano un’aria di spontaneità, di divertimento, e tutto sommato di freschezza che ci ha aiutato a riemergere dalla polverosa e presuntuosa banalità in cui ci aveva sprofondato lo spettacolo precedente. Grazie, ragazze.

Piccola, buffa, ma anche tenera annotazione. Intervistate, le ballerine-casalinghe dedicano le loro performance alla mamma, alla famiglia, al figlio adolescente. Dov’è finito il peccato?

Due passi indietro, dopo aver fatto le pulci alla Villoresi, per dichiarare il nostro apprezzamento per la serata alla sinagoga di Roma, il giorno 17 del mese di Nissan dell’anno 5771 (il nostro 21 aprile 2011). Settimo appuntamento del festival DivinaMente Roma, da noi criticato all’inizio di questo uovo avvelenato. Era un concerto di canti della tradizione ebraica, spruzzati di brani dal Mosè di Rossini, e di autori contemporanei.

Un evento di grande suggestione per l’ambiente, la kippah che ci hanno fatto mettere in testa, e soprattutto l’atmosfera di religiosa concentrazione. Certo che dopo un’ora e mezzo di monodie (questa volta ebraiche, ma è lo stesso con i canti gregoriani o le nenie sarde), ci troviamo come sempre a chiederci: con tutto il rispetto per la tradizione e i valori liturgici, come facevano i nostri bisnonni a rimanere svegli, prima che arrivasse la musica di Bach e Mozart?

L’archivio del Cavalier Serpente, o meglio la covata di tutte le sue uova avvelenate, sta al caldo nel suo blog. Per andare a visitarlo basta un click su questo link: http://blog.libero.it/torossi