Da Chirac a Sarkozy, il passaggio del testimone

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Da Chirac a Sarkozy, il passaggio del testimone

17 Maggio 2007

Il 16 maggio Jacques Chirac ha accolto all’Eliseo il nuovo Presidente della Repubblica francese, Nicolas Sarkozy, al quale ha trasmesso la carica. In seguito, il nuovo Presidente si è recato all’Arco di Trionfo e ha percorso in auto, scortato dalla Guardia repubblicana, gli Champs Elysées.

Il passaggio dei poteri da un Presidente della Repubblica al suo successore è sempre un momento di alta simbolicità. Vi sono i simboli tradizionali della Repubblica, con il saluto al milite ignoto e il ravvivamento della fiamma, omaggio ufficiale e collettivo ai morti per la patria; c’è il rito usuale dell’Eliseo con l’ingresso del nuovo inquilino accolto sulla soglia dall’uscente, con la trasmissione dei “segreti di Stato” e dei codici nucleari, e poi con il congedo al predecessore. Vi è l’investitura vera e propria (proclamazione dei risultati ufficiali) da parte del presidente del Consiglio costituzionale. Vi è anche e infine il solito discorso del nuovo presidente sulla volontà di “rassembler”, di parlare a nome di ogni francese, sulla promessa di non dimenticherà nessuno.

A questi riti si aggiungono i simboli propriamente voluti dai protagonisti. Mitterrand andò a depositare una rosa sulla tomba di Jean Jaurès, padre del socialismo francese, di Jean Moulin, martire della Resistenza, e di Victor Schoelcher, padre dell’abolizione della schiavitù, sotto le insegne dei quali intendeva portare avanti la propria presidenza, volta ad una “nuova alleanza del socialismo e della libertà”.

La scelta di Sarkozy è andata in un’altra direzione. Egli si è raccolto davanti a due altri “grandi” della storia nazionale. Georges Clemenceau, soprannominato “la tigre” per la sua ferocia e la sua tenacità, e che, dopo una lunga carriera politica, diventò presidente del consiglio nel 1917, quando impresse una svolta autoritaria alla guida del governo che sosteneva lo sforzo bellico. Molto popolare per tutto il XX secolo, Clemenceau fu ed è considerato come il “padre la vittoria” della prima guerra mondiale. Il secondo “padre della patria” a cui ha reso omaggio Sarkozy è Charles de Gaulle, a quale si richiamano ormai quasi tutti i francesi di qualsiasi orizzonte politico essi siano, colui che, come ha ricordato il nuovo Presidente, «salvò il Paese ben due volte, rendendo alla Francia la sua sovranità e allo Stato la sua dignità e la sua autorità». Infine, il suo omaggio è andato ai resistenti della seconda guerra mondiale, e in particolare a Guy Môquet, giovane comunista morto a 17 anni, nel quale ha voluto vedere un esempio per la gioventù, «l’anonima grandezza di un uomo che si dedica ad una causa più grande di sé».

Una presidenza che il nuovo inquilino dell’Eliseo ha quindi voluto mettere sotto il segno del “rassemblement”, ma anche e forse soprattutto dell’interesse superiore della nazione, della responsabilità politica e del decisionismo, del dinamismo con il suo primo e agitato “bagno di folla”, durante il quale non sono mancati i gesti alla Kennedy come il pollice alzato.

La politica estera non è rimasta fuori da questi gesti simbolici: last but not least, il suo primo atto da Presidente è stato un viaggio a Berlino, dove ha incontrato Angela Merkel, ha ricordato la forza dell’amicizia franco-tedesca e ha ribadito la necessità di «far uscire l’Europa della sua paralisi».