Da Cota a Zaia scatta la resistenza leghista alla diffusione della Ru486

Banner Occidentale
Banner Occidentale
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Da Cota a Zaia scatta la resistenza leghista alla diffusione della Ru486

02 Aprile 2010

La pillola abortiva Ru486 non piace ai nuovi governatori leghisti del Piemonte e del Veneto, Roberto Cota e Luca Zaia. Non è una novità, né una trovata post-elettorale, entrambi, infatti, non hanno mai celato la loro vicinanza al mondo cattolico e quando possibile hanno dichiarato – soprattutto il neogovernatore piemontese – che l’uso della kill pill, come è stata definita la Ru486, non s’ha da fare, se non nei limiti della legge 194. Da qui le dichiarazioni al vetriolo di questi giorni, con Cota che ha affermato che la pillola per quanto lo riguarda potrà restare nei magazzini e Zaia che ha aggiunto che troverà il modo per “non farla arrivare negli ospedali del Veneto”.

Come c’era da aspettarsi subito è scoppiata la bagarre. Che ha immediatamente fatto gridare alla spaccatura interna alla maggioranza solo pochi giorni dopo il successo elettorale. Da sinistra, il Pd ha accusato i due governatori leghisti di continuare a fare “campagna elettorale” e di comportarsi da “imperatori”, denunciando la saldatura fra gli ambienti cattolici e il centrodestra sull’aborto come una minaccia per la libertà di scelta delle donne. L’opposizione incrocia le dichiarazioni di Cota e Zaia con l’ultimo intervento di Papa Benedetto XVI contro l’aborto (“Oggi per i Cristiani è importante non accettare un’ingiustizia che viene elevata a diritto, per esempio quando si tratta di bambini innocenti non ancora nati” ha detto il Papa nella Basilica di San Pietro), e ha fatto presto a leggere le uscite leghiste come la ritrovata intesa fra il Carroccio e la gerarchia Vaticana, dopo gli screzi e le divergenze del passato sull’immigrazione (dopo i riti celtici, Bossi è tornato ad esaltare le “radici cristiane e cattoliche della Lega”).

Nel centrodestra le reazioni sono state varie, ma sempre nel solco del rispetto della legge vigente in materia, che è la 194. Se il Presidente dei senatori del Pdl, Maurizio Gasparri, che se la prende anche con il direttore dell’Aifa, (“il suo atteggiamento insospettisce”), afferma che dalle Regioni “arrivano notizie negative per il partito della morte. La Ru486 non circolerà facilmente. E questa è una buona notizia”, il Presidente dei Deputati del Pdl, Fabrizio Cicchitto è più cauto, sostenendo che “sulla Ru486 va mantenuto fermo il punto di approdo a cui si era arrivati, tenendo conto di molteplici esigenze. E’ indispensabile la sua gestione ospedaliera nel rispetto della Legge 194. Altre ipotesi, francamente, non sono condivisibili”. Anche il neogovernatore della Regione Lazio, Renata Polverini, sembra essersi espressa in questa direzione, come pure il ministro dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo.

Insomma, aldilà della polemica politica il punto più controverso della questione rimane lo stesso e si inserisce nell’alveo del rispetto della legge 194 sulla interruzione volontaria di gravidanza. Se, secondo il Consiglio Superiore della Sanità, la Ru486 in ottemperanza alla 194 può essere somministrata solo nelle strutture mediche attrezzate e con ricovero ordinario, in realtà, chi l’assume può liberamente firmare per lasciare l’ospedale, lasciando di fatto nelle mani della donna l’onere di gestire non solo da un punto di vista medico ma anche clinico l’interruzione della propria gravidanza, con tutti i rischi e le conseguenze che questa pratica può comportare.

Alla base dei dubbi dei governatori leghisti e dei critici di un uso non regolamentato della pillola abortiva una serie di ragioni che attengono non solo all’etica ma soprattutto alla sicurezza ed efficienza clinica del farmarco, queste ultime ancora controverse, dunque. Per i più critici, come Cota e Zaia, l’aborto farmacologico tenderebbe a deresponsabilizzare il sistema medico e ad abbandonare le donne ad un’esperienza solitaria, di sofferenza psichica e domestica, del tutto simile a quella dell’aborto clandestino. Per chi invece è favorevole alla diffusione della pillola, il fatto che la politica si immischi in questioni del genere non fa altro che allontanare il nostro Paese dagli altri Paesi europei dove il farmaco viene già utilizzato. Strano che da questa parte si trovino anche le più accanite femministe.