Da Francavilla Fontana alla Procura di Milano: storia di un Gip che sogna di fare il Vip

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Da Francavilla Fontana alla Procura di Milano: storia di un Gip che sogna di fare il Vip

31 Ottobre 2007

Si sa, le brave ragazze hanno la lacrima
facile, soprattutto quando si sentono lasciate sole. E la commozione da
premiazione di Clementina Forleo lo dimostra, a prescindere dalla sua faccia
tosta. Ma chi è Clementina e da dove viene questa eroina che salverà l’Italia
dalla rovina e dall’abbraccio mortale degli alleati americani? Clem nasce nel 1963 a Francavilla Fontana,
un paesone del brindisino di quelli coppola, zappa e fiasco di vino. Qui sono
in molti a ricordarla con affetto e a guardarla con rispetto quando torna a
casa in vacanza, lasciando un attimo la Milano dei disonesti. Non si può dire che sia
proprio venuta su dal nulla, la Clem. Suo
padre Gaspare, avvocato, fu uno dei sindaci della cittadina pugliese. La madre
Stella era insegnante di francese. Erano una famiglia della middle class (più
upper che middle), piena di rigore morale e senso di responsabilità, due
qualità che caratterizzano ancora l’ex roccaforte francavillese della
Democrazia Cristiana. Non erano solo tempi di compromessi e reame clientelare, a
quanto pare. Secondo Euprepio Curto, senatore di Alleanza Nazionale e sergente
di ferro della scena politica locale, i Forleo erano una famiglia “energica”,
sarà per questo che la figlia piace alla Destra di Storace. Aggiunge il
pubblico ministero Francesco Prete, anche lui francavillese: “Clementina non ha
posizioni predefinite: in un caso può sembrare più a sinistra di Bertinotti, in
un altro più a destra di Rauti”.

Ma non perdiamoci in citazioni tanto
rassicuranti e torniamo ai fatti: i genitori di Clem furono abbastanza
lungimiranti da mandare a studiare la prediletta in uno dei più grandi
esamifici del Mezzogiorno, l’università di Giurisprudenza di Bari. Nel
capoluogo se non sei un avvocato, non sei nessuno. La laurea è un pezzo di
carta ma non sapete quanto conta. In ogni caso gli studi di Clem furono
un’anticipazione gloriosa della futura retorica meritocratica. Alla maturità
prende il massimo dei voti, con una menzione speciale che la proietta tra i
venticinque migliori studenti d’Italia. Avete presente quelle simpaticissime
foto patinate da primi della classe che appaiono con regolarità sulle pagine
della Gazzetta del Mezzogiorno? Esatto, proprio quelle. Dopo uno scontato 110 e
lode, Clem si accorge che per fare ricerca a Bari serve più di un padreterno e così,
messa da parte la carriera accademica, inizia la sua scalata di donna d’ordine.

Prima poliziotta, poi commissaria, infine giudice a Milano. Perde per un pelo
il treno di Mani Pulite, ma decide di rifarsi. Rinvia a giudizio Marcello
dell’Utri, arresta Giorgio Mendella, assedia Fininvest e Giulio Tremonti. Ma
non sono tutte rose e fiori. Nel 1994, assolve il pentito Melluso, Gianni “il
bello”, dall’accusa di calunnia aggravata ai danni di Enzo Tortora. Spiega che
c’è una differenza tra la verità storica dell’innocenza di Tortora e la “verità
processuale putativa” che è meglio mettere tra virgolette, visto che è quella
di Gianni il bello. La verità dei vermi. Il capolavoro di Clem è l’assoluzione
di tre presunti jihadisti, presunti mica tanto visto che figuravano,
rispettivamente, al 147°, al 133° e al 61° posto della classifica dei
terroristi stilata dalle Nazioni Unite. Per Clem c’è una differenza tra
terroristi e partigiani, e chi si fa saltare in Iraq, evidentemente, appartiene
al secondo gruppo. “Io credo che sia stata fatta poca giustizia su quello che è
successo prima in Afghanistan, poi in Iraq e infine a Guantanamo”, dice lei con
il consueto ardore geopolitico, “Secondo me, è un altro Olocausto”.

L’intervista
rilasciata a Sabelli Fioretti è straordinaria, tanto da far sorgere il dubbio
che certe affermazioni Clem le abbia fatte perché ha intuito come funziona cioè
la gilda buonista che ti accoglie a braccia aperte se sei uno di loro: “Non
faccio paragoni tra Israele e i nazisti: non mi competono giudizi storici e di
valore. Ma è un dato di fatto che sono stati perpetrati, nel consenso della
cosiddetta civiltà occidentale (‘cosidetta’, ndr), abusi macroscopici. La
storia darà ragione a chi sostiene che è trattato di un vero sterminio, un
genocidio. Un altro Olocausto”. I kamikaze? “Sicuramente meno offensivi dei
mezzi a disposizione dei loro nemici”.

Ma Clem non ha più bisogno di
dichiarazioni forti per finire sotto i riflettori, ci pensano i Manetta Bros, da
Grillo a Travaglio, a difenderla da quei “mandarini intoccabili” (Travaglio’s
style) come il Presidente della Repubblica, che si è permesso di richiamarla
all’ordine. Un solo grido, un solo allarme: trema D’Alema, viva la galera.
Forleo si è scelta come avvocato difensore un’altra affiliata al club delle
brave bravissime: la dottoressa Giulia
Bongiorno. Evvai con le querele, ma solo a chi se le merita, perché, secondo
Clem, esistono dei “poveretti”, dei “rozzoni”, che manco vale la spesa dell’unico,
ormai ludico, sport nazionale: querelare. Metti Borghezio, ne vale la pena? Ma
con Calderoli e Cicchitto, sì, quando parlate di me dovete prima sciacquarvi la
bocca (speriamo per chi scrive…).

La settimana scorsa, dopo le interviste sui
giornali, i ricordi, e Francavilla, e gli studi da fuorisede, e Mani Pulite che
non è mai finita, e siamo con te Clem, e poi Santoro, il trucco, Rai3, di nuovo
il trucco, lo show, la masseria di papà, i fatti privati da raccontare in
pubblico, Clem scoppia a piangere quando le consegnano il Premio Borsellino per
l’impegno civile e sociale. “Sono scossa per gli attacchi e i tentativi di
delegittimazione ricevuti oggi da un giornale nazionale che ha dato di me una
immagine di fiume in piena e di una pazza”. E in effetti non è facile
riprendersi dopo aver ricevuto un proiettile e un bel mazzo di intimidazioni.
“Sostengono che faccio la diva, ma non è vero”. Da bambina le piacevano molto
le pistole e invidiava i suoi amichetti che giocavano a guardie e ladri. L’indulto?
“Una vergogna”. Aspettiamo nuove rivelazioni da Manettown.