Da giorni l’Iran bombarda il Kurdistan iracheno, ma nessuno se accorge
30 Luglio 2011
Sono ormai più di tre settimane che la Repubblica islamica dell’Iran bombarda il Kurdistan iracheno violando la sicurezza e la legittimità dello Stato federale di Baghdad.
Ufficialmente le Guardie della rivoluzione iraniana puntano a debellare i separatisti del PJAK, (Partito per una Vita Libera in Kurdistan) un gruppo partigiano che combatte dal –conteso- territorio iraniano per l’indipendenza del proprio popolo e per istituire un sistema federale che garantirebbe ampia autonomia alle minoranze etniche una volta secesso dall’Iran. Il PJAK sostenuto dall’amministrazione Bush perché ritenuto alleato importante in un’Area dove si interagisce con Turchia, Siria, Iraq e Iran, nell’era Obama è classificato come organizzazione terroristica grazie alle pressioni di Ankara (per via delle attività dell’altro gruppo separatista curdo: il Pkk) e per mantenere la strategia della dottrina della mano tesa con Teheran.
Ma Teheran è andata oltre i propri confini nazionali, arrivando a bombardare il sud del Kurdistan e scatenando la reazione del governo di Arbil che ha schierato più di dodicimila soldati. Finora, infatti, sono stati bersagliati i villaggi di Arke, Marado, Rezge, Suregule, Serxan, Shinawa, Imbastire e Aliresh, ma è ancora difficile stabilire il numero dei morti e dei feriti mentre si possono contare cinque case e un edificio scolastico demoliti, una moschea danneggiata e almeno centoventi ettari di foresta annientati dal fuoco. Le Madri della Pace di Silopi, un’associazione turca, sono addirittura intenzionate ad andare verso la frontiera con la Regione federativa del Kurdistan iracheno e fare da scudi umani per attirare l’attenzione sui villaggi curdi assediati dagli attacchi dei militari iraniani dotati di armamenti pesanti come carri armati, lanciamissili, elicotteri, razzi Katyusha (lo stesso brand usato da Hamas per colpire il sud d’Israele) e aiutati dal gruppo integralista curdo Ansar al Islam, promotore di una radicale interpretazione dell’Islam e dello Jihad, capace di sapersi destreggiare tra l’impervio territorio curdo.
D’altro canto, questo inferno innescato da Teheran, nonostante stia bruciando il sud dell’Iraq, non sembra preoccupare molto il governo centrale guidato dal premier al Maliki. Il 6 luglio scorso Iran e Iraq hanno ufficialmente riallacciato i rapporti diplomatici, mentre l’Iran continuava a bombardare il Kurdistan, e il 25 luglio, i tre ministri del petrolio dell’Iran (tre giorni fa è stato nominato Rostam Qasemi come nuovo capo del Dicastero), dell’Iraq e della Siria, hanno firmato un accordo per la costruzione di un gasdotto per trasportare il gas dai giacimenti dell’Iran di South Pars, fino in Europa, attraverso l’Iraq e la Siria, proponendosi come rivale del gasdotto Nabucco. La nuova pipeline sarà denominata “Gasdotto islamico”, si estenderà per 5600 km e per realizzarla è previsto un investimento complessivo di circa 10 miliardi di dollari.
Inoltre, la regione autonoma del Kurdistan, dove lavorano quaranta compagnie petrolifere provenienti da diciassette Paesi, sarà in grado di esportare duecentomila barili di petrolio entro fine anno e secondo il ministro delle Risorse naturali del governo di Arbil, Ashti Hawrami, la produzione dell’oro nero è aumentata del 50% dal 2009.
Oltre alla ricchezza economica del Kurdistan, alla sempre più povera Repubblica islamica iraniana interessa mantenere la propria forza di gravità sul mondo sciita e consolidare il fronte contro le correnti coraniche salafite e wahhabite, sponsorizzate dall’arcinemica Arabia Saudita. Per mantenere la propria influenza sull’Iraq sciita (la città di irachena di Najaaf è considerata il “Vaticano” dei fedeli di Alì) è inoltre necessario che gli USA si ritirino il prima possibile da Baghdad. Proprio per questo il popolo curdo resta tra i più forti sostenitori di una presenza prolungata degli Stati Uniti che sono sempre più preoccupati di difendere dalle armi iraniane i quarantasettemila militari che entro fine anno potrebbe iniziare a ritirarsi.
La guida suprema Khamenei (interessato al Kurdistan sciita più di Ahmadinejad, troppo impantanato nella politica interna) è affiancato dal secondogenito, Mojtaba Khamenei, di fatto responsabile dell’agenda politica dell’ayatollah e con stretti rapporti con pasdaran e i basiji. Fino a quando Washington non lascerà l’Iraq e i ribelli del PJAK le montagne Qandil, l’Iran continuerà a fornire armi sempre più sofisticate alle milizie sciite irachene e a garantire addestramento di miliziani. Un appoggio che verrebbe assicurato in particolar modo ai gruppi Ahl al-Haq, Kataib Hezbollah, Al- Youm Al-Maoude e alle milizie sciite irachene vicine al leader radicale Moqtada al-Sadr.