Da Pontida la Lega detta l’agenda ma non stacca la spina. Il Cav. apre a Bossi

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Da Pontida la Lega detta l’agenda ma non stacca la spina. Il Cav. apre a Bossi

19 Giugno 2011

A Pontida, Bossi parla al suo popolo ma ha messaggi chiari per il “caro Silvio” e il “caro  Giulio”. Una road map in centottanta giorni per cambiare passo. Riforma fiscale, revisione del patto di stabilità, stop alle missioni militari all’estero i temi centrali. Berlusconi apre al Senatur inserendo “alcune richieste” della Lega nel programma che martedì e mercoledì porterà in Parlamento.  Un gioco di sponda per ribadire che il governo va avanti.

Ottantamila camicie verdi in cerca di risposte dopo le sberle amministrative e referendarie. C’è voglia di secessione sul “sacro prato”, la parola più urlata durante il discorso del Senatur . Ma il capo sceglie la via del compromesso, rilanciando una Lega di lotta e di governo, che minaccia, detta le condizioni, ma non ha alcuna intenzione di staccare la spina. Con un’ipoteca, però, sulla premiership del 2013 che Bossi non riconsegna automaticamente nelle mani del Cav. Con un dettaglio significativo: lo striscione con la scritta “Maroni presidente del Consiglio” e il microfono consegnato al ministro dell’Interno (durissimo l’affondo contro i magistrati sui clandestini), l’unico dei colonnelli a parlare sul palco, dopo di lui. Messaggio propagandistico o alleanza in scadenza? E’ presto per dirlo, ma già da martedì con la verifica parlamentare e il decreto sviluppo sarà possibile capire la strategia del Carroccio.

Berlusconi apre alle richieste del Carroccio annunciando che alcune di queste saranno nel programma col quale martedì e mercoledì si presenterà alle Camere per la verifica parlamentare. Parole che confermano il lungo lavoro di mediazione tra Pdl e Lega dopo la batosta elettorale e che dicono chiaro che il banco per ora tiene, che non ci sono alternative all’alleanza. E’ la lettura ricorrente nelle file del Pdl, quella che Gaetano Quagliariello evidenzia quando afferma che “per chi sa leggere, il messaggio di Bossi è stato quello di coniugare le preoccupazioni della base con una forte volontà di continuare l’esperienza di governo. Per questo al centro del suo discorso c’è la riforma fiscale e le riforme necessarie a rispondere alle giuste esigenze manifestate alle elezioni da quel blocco sociale che fin qui è stato l’elemento che più di ogni altro ha messo in collegamento Pdl e Lega”.  

In effetti, se si legge dietro i toni e gli slogan dal raduno padano emerge la volontà di andare avanti.  Bossi punta tutto sul cambio di passo nell’agenda di governo e tira giù condizioni e tempi della road map, riposiziona il movimento nel solco tradizionale, quello della lotta dura e pura contro il “centralismo romano”, mobilita il “popolo in cammino” verso la libertà della Padania, assecondando gli impulsi secessionisti ma senza calcare troppo la mano. Gioca la carta dei ministeri al Nord e la raccolta di firme per la legge di iniziativa popolare lanciata da Calderoli per rassicurare i suoi, sfida il premier sul fatto che non saranno solo uffici di rappresentanza. Ma non va oltre. Il vessillo autonomista è la chiave con la quale cerca di arrivare al cuore del popolo padano al quale dice che la Lega è ancora “sopra il 10 per cento” a livello nazionale e può dire e fare ancora molto per cambiare le cose. Anche da sola.

E se i toni sono quelli di un leader chiamato a dare risposte alle camicie verdi deluse e divise tra mollare il Cav. o continuare a sostenerlo, è lo stesso Bossi a dire che no, ora non è il momento di far saltare il banco e andare al voto perché “in questo momento favoriremmo la sinistra e faremmo un danno al Paese”. In realtà, il Senatur sa bene che l’unica chance per lui si chiama ancora Silvio Berlusconi. Almeno fino al termine della legislatura, tempo sufficiente per incassare il massimo e impostare la strategia per il futuro. Un futuro per il quale, nonostante gli affondi contro la stampa che scrive di un movimento che già pensa al dopo-Bossi, lui sembra già pensare.

Del resto, a Pontida non è passato inosservato il fatto che Roberto Maroni sia stato l’unico ministro al quale ha ceduto il microfono per un intervento politico, quasi una sorta di investitura indiretta, proprio davanti allo striscione “Maroni, presidente del Consiglio. E’ presto per dire se il vecchio leader già pensi di posare la spada di Alberto da Giussano sul suo capo e se le contrapposizioni interne tra i colonnelli del cerchio magico e quelli fedeli al ministro dell’Interno alla fine non porteranno ad altro , ma un primo segnale c’è stato.

Ma intanto il capo è e resta Bossi. A Pontida il popolo padano si è stretto attorno al leader sfoderando con orgoglio tutto il repertorio identitario: dalle magliette con il Senatur in versione Che Guevara, agli elmi con le corna, alle musiche celtiche, dal Va’ Pensiero alle bandiere della Scozia (sul maxischermo prima dell’intervento del capo è andato in onda uno spezzone del film Braveheart), ai cartelli “Basta col mutuo al Sud”.

Bossi asseconda la sua gente sfoderando il “decalogo” per Berlusconi e Tremonti, nei prossimi sei mesi. Il piatto forte resta la riduzione della pressione fiscale. Al ministro dell’Economia dice che “se vuole ancora avere i voti della Lega in Parlamento non può toccare gli artigiani e le piccole imprese, altrimenti metterebbe in ginocchio il Nord”. E per farlo serve subito rimettere mano al patto di stabilità per tutti i comuni e in particolare per quelli virtuosi che i soldi ce li hanno ma non possono spenderli. Bossi indica anche dove trovare le risorse e al primo punto mette lo stop alle missioni militari “di pace o di guerra”, a cominciare dalla Libia “che ci è già costata un miliardo e mezzo”, soldi che possono servire per ridare fiato a famiglie e imprese, anche sul capitolo bollette. E qui chiama in causa “il caro Giulio” su Equitalia che definisce una “vergogna che neanche la sinistra sarebbe capace di fare”, mostrando il pollice verso sui “sequestri di case, aziende e trattori” praticati a chi ha difficoltà a pagare. Promette che già a partire da martedì nel decreto sviluppo ci saranno dei cambiamenti per venire incontro alle esigenze dei cittadini. Riforma fiscale, ma anche riforma del Senato federale, dimezzamento dei parlamentari, stop agli sprechi delle auto blu e dei costi della politica (propone di abbassare pure la quota dei rimborsi elettorali). Poi cavalca il tasto dei ministeri al Nord col sindaco di Monza che gli consegna le chiavi e la targa della Villa Reale di Monza, dove – dice il Senatur – andranno il suo ministero, quello di Calderoli e di Tremonti, con una stanza pronta anche per Maroni.  Ma ciò che non dice è quale impatto un’operazione del genere avrebbe sulle casse dello Stato. Propaganda? La Lega ci punta anche per ristabilire un contatto diretto con l’elettorato, tuttavia non sarà una partita semplice se si considera la levata di scudi romana con in testa la Polverini e Alemanno che chiedono l’intervento di Napolitano.

Su Pontida si spengono i riflettori, Bossi incassa il sì del suo popolo, ma la partita vera si apre ora. A Roma e con Berlusconi.