Da “protesta permanente” a “governo permanente”: ecco la mutazione genetica dei grillini
17 Giugno 2020
“Apriremo il Parlamento come una scatoletta di tonno. Scopriremo tutti gli inciuci, gli inciucetti e gli inciucioni: quando illumini un ladro, il ladro non ruba più!”. Così, il 10 febbraio del 2013, parlò Beppe Grillo in un comizio che si svolse a Trento. Il Movimento Cinque Stelle si presentava per la prima volta alle elezioni politiche che si sarebbero tenute due settimane più tardi e tutti si chiedevano dove questa forza nata da pochissimo tempo sarebbe potuta arrivare. Ebbene, il risultato fu clamoroso: 25,56% dei voti e 108 seggi ottenuti alla Camera dei Deputati, primo partito in assoluto. Forze politiche iperstrutturate come PD e Popolo della Libertà tastarono con mano cosa avesse significato appoggiare per troppo tempo il governo presieduto da Mario Monti che, nato per durare giusto il tempo per risolvere la questione spread, tirò invece avanti per più di un anno e mezzo. E ugual sorte toccò allo stesso Monti, talmente convinto di aver fatto bene alla guida del Paese che decise inaspettatamente di scendere in campo con un suo movimento, Scelta Civica, la cui performance fu in assoluto la più deludente di quell’appuntamento elettorale. Fu così che tutti noi ci accorgemmo che quella protesta montante verso i politici e tutto ciò che toccavano aveva raggiunto livelli spropositati, una disaffezione verso i cosiddetti partiti “tradizionali” paragonabile per certi versi a quella che venti anni prima aveva distrutto la Prima Repubblica. Ma se nel 1994 era stata in gran parte Forza Italia a raccogliere l’eredità di quelle forze politiche ormai scomparse, nel 2013 salì sulla ribalta un movimento (perché partito proprio no, loro non si volevano far chiamare) che si prefiggeva il compito di svuotare di senso le aule parlamentari grazie alla “democrazia diretta”, operata attraverso una piattaforma online di proprietà di Gianroberto Casaleggio, vero ideatore del progetto pentastellato.
Arrivarono poi le vittorie nei comuni di Roma e Torino con Virginia Raggi e Chiara Appendino, che diedero così ad una forza “anti – sistema” la possibilità di potersi misurare con importanti responsabilità di governo, la morte di Gianroberto Casaleggio, la decisione di Alessandro Di Battista di non ricandidarsi per un secondo mandato alle politiche del 2018, nelle quali il Movimento volò oltre il 33%. Ed è stato a questo punto che è avvenuto un evento che inaspettatamente ha cambiato tutta la storia e sconvolto la retorica fino ad allora utilizzata dai grillini: il Premier dell’esecutivo formato da Cinque Stelle e Lega non è diventato Luigi Di Maio, in quel momento leader incontrastato del Movimento, ma un anonimo avvocato e docente universitario presso l’ateneo di Firenze, tale Giuseppe Conte.
Ha così inizio la più rapida e impressionante inversione di marcia della storia repubblicana. Conte infatti guadagna da subito consensi nelle stanze del potere, inizia ad oscurare Di Maio e, soprattutto, plasma per i Cinque Stelle un’anima filo istituzionale ed europeista che mai nessuno avrebbe pronosticato poter arrivare in un lasso di tempo così breve. Vero è che si nasce incendiari e si muore pompieri, ma passare dal voler aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno ad essere il tonno contenuto nella stessa scatola in poco più di un anno è un record che potrebbe restare imbattuto per molto tempo. Da un movimento di “protesta permanente” ad un movimento di “governo permanente”: il salto a 5 Stelle può essere riassunto così. Come se non bastasse, per tenere i fili del potere nelle proprie mani c’è stato un cambio di maggioranza in corsa, non curandosi minimamente del fatto che passare dal governare con la Lega al farlo con PD, Leu e Renzi da un giorno all’altro rappresentasse una sconfessione quasi totale di tutte le scelte che erano state avallate nel primo anno di governo.
E’ così che siamo arrivati alla situazione di tutti contro tutti in atto oggi che noi avevamo già anticipato qui. Di Battista ha ormai deciso che non può restare a guardare e ha fatto capire a tutti che vuole un congresso (ennesimo termine che certifica l’avvenuta mutazione grillina) per stabilire se davvero i Cinque Stelle dovranno essere costretti a ingoiare qualsiasi rospo pur di restare al governo. Che conseguenze potrà avere questa fronda per il governo, dati i numeri molto delicati per la maggioranza in Senato? Davvero una lotta combattuta in nome del “ritorno alle origini” potrà avere come conseguenza la caduta dell’esecutivo?
A tutto questo, giusto per non farsi mancare nulla, l’esplosione dell’affaire dei presunti tre milioni e mezzo di euro ricevuti una decina di anni fa dal regime venezuelano – ipotesi categoricamente smentita da tutte le anime del Movimento – contribuisce a gettare benzina su un incendio che sembra aver acquisito proporzioni non più gestibili. Anche perché, è inutile girarci attorno, l’attuale esecutivo è nato passando attraverso la benedizione di varie cancellerie che – per svariati motivi – non volevano assolutamente vedere entrare Matteo Salvini dal portone principale di Palazzo Chigi. Saranno contente queste istituzioni nazionali e sovranazionali che nel cuore dell’Europa si trova una forza di governo che intrattiene costantemente rapporti con regimi quali il Venezuela, la Cina o l’Iran? Davvero la settima potenza dell’economia mondiale può permettersi il lusso di vedere insidiate le proprie aziende e infrastrutture sensibili (tanto materiali come i porti, quanto digitali come il 5G) da sistemi politici che sono stati sempre stigmatizzati da quando l’UE ha preso vita? E se si riproporrà la possibilità di sostituire Maduro e il suo regime i grillini correranno di nuovo in suo soccorso, come accaduto tre anni fa quando fecero negare l’appoggio del governo italiano (unico in Europa) a Juan Guaidò?
Nei prossimi mesi avremo numerose risposte, ma in un momento in cui l’Italia vive difficoltà enormi e ci sarebbe bisogno di un governo forte e rapido nel dare risposte, tutto questo appare certamente sconfortante.