Da settembre le tasse saranno di nuovo la patata bollente di Obama
26 Agosto 2010
A venti mesi dalla elezione alla Casa Bianca Barack Hussein Obama ha toccato il fondo. Oggi è la maggioranza degli americani a contestarne la linea politico-economica, ritenendo che sotto la sua guida il Paese sia inesorabilmente incamminato verso il disastro. Lo afferma l’agenzia di stampa Reuters, che martedì 24 agosto ha reso pubblici i risultati del sondaggio mensile condotto dall’Ipsos tra il 19 e il 22 del mese su un campione nazionale di 1063 adulti per il quale gli esperti calcolano un margine di errore possibile del 3%.
Oggi il 52% degli americani contesta Obama, ed è la prima volta che il presidente in carica va sotto nelle misurazioni Ipsos; in più, ben il 62% della popolazione è convinto che il Paese stia percorrendo la strada sbagliata. Si aggiunga che il 72% si dice assolutamente preoccupato del tasso di disoccupazione raggiunto dagli Stati Uniti – il 9,5%, giudicando l’Amministrazione in carica incapace di frenarlo – e che il 67% è terrificato dal livello di spesa pubblica su cui è attestato il Paese dell’Obanomics, gravato da un disavanzo pubblico che assomiglia a un abisso incolmabile.
Pochi giorni fa, inoltre, la National Association of Realtors, ossia una sorta di ConfImmobiliare, ha annunciato che in luglio la vendita delle abitazioni è stata la più bassa degli ultimi 15 anni, dato assai indicativo se si tiene conto di due fattori decisivi: primo che, da un lato, la proprietà della prima case è generalmente e ovunque percepita come segno di floridezza economica e di stabilità sociale motivo per cui quando si ferma o persino cala il numero dei proprietari allora si comincia a parlare di recessione; secondo che, dall’altro lato, la grande crisi finanziaria globale fu innescata negli Stati Uniti dallo scoppio della bolla finanziaria legata ai “mutui faciloni” accordati semplicisticamente a chicchessia, cioè indipendentemente dalla capacità dei sottoscrittori di farvi fronte, pur con tutte le agevolazioni, e spessissimo dovuta a quel giro mentale, non immune da accenti demagogico-ideologico, che pretendeva di fare di ogni cittadino americano un possessore di casa: non però consentendo a ognuno di divenire autenticamente padrone di cose proprie grazie a un ampliamento reale dei diritti di proprietà, ma svilendo la proprietà stessa (e i proprietari) attraverso un deprezzamento che ingannevolmente crea l’illusione dello sconto (indebito) se non addirittura del regalo (inesistente).
Sarà per questo che il leader Repubblicano alla Camera dei deputati, John Boehner, sta domandando a gran voce le dimissioni dei consiglieri economici del presidente a un tiro di schioppo dalle elezioni che il 2 novembre riassegneranno tutti i 435 seggi della Camera nordamericana, 37 del Senato e pure 36 alla guida di altrettanti Stati dell’Unione. Pare infatti che il 46% degli americani che avendone giuridicamente la possibilità sono attualmente registrati nelle liste elettorali di un Paese in cui il voto è un diritto da esercitare per volontà espressa non un fato cieco da subire supinamente sceglierà il Partito Repubblicano oggi all’opposizione: solo un punto percentuale in più, dicono i sondaggi, rispetto ai favori di cui dovrebbe godere il Partito Democratico, ma di mezzo ci sono i non ancora registrati che potrebbe pur farlo, gli scontenti di tutto e di tutti che però potrebbe scegliere di voler punire l’Amministrazione in carica e una serie di varianti potenzialmente incalcolabili.
Alle porte sta infatti un passaggio nodale. Il Congresso tornerà a riunirsi a metà settembre, dopo una considerevole pausa estiva e in cima all’agenda c’è da esprimersi sulla riduzione fiscale a termine voluta nel 2001 dal presidente George W. Bush jr. e in scadenza a fine anno (con rischi enormi, come da queste stesse pagine ci avvertiva a metà luglio il raffinato analista politico Howard Segermark). Un solo errore e per i Democratici di Obama la fine potrebbe avere inizio.
Marco Respinti è presidente del Columbia Institute e direttore del Centro Studi Russell Kirk