Da spione a spiato. Assange “perde il controllo” delle sue memorie
23 Settembre 2011
Usando un linguaggio dantesco, si potrebbe parlare di legge del contrappasso. La pena per Julian Assange ha corrisposto al peccato. Sì, perché la mente di WikiLeaks, che in barba a privacy e “cables” top secret ha scoperto gli altarini delle ambasciate e dei personaggi politici più influenti al mondo, ieri si è visto pubblicare da Canongate Book la sua autobiografia (udite, udite) non autorizzata.
Un viso in bianco e nero sparato in primo piano sulla copertina, 50 ore di interviste e tante polemiche da parte del soggetto di quell “autoritratto” sono gli ingredienti dell’uscita del libro. Tre mesi fa, Assange aveva cercato di annullare il contratto per la pubblicazione dell’autobiografia con la somma di 1 milione di dollari. Ma come il 40enne australiano sa, opporsi al rilascio di informazioni non è garanzia che qualcuno non le faccia trapelare.
Gli editori, dal canto loro, sostengono di aver pagato un anno fa ad Assange i diritti per l’opera – mezzo milione di sterline (600 mila euro) di anticipo per il volume, che doveva essere tradotto in 38 lingue – a cui lui stesso aveva iniziato a lavorarci insieme a un ghostwriter. Poi, però, c’è stato nel mese di luglio il retro-march del giornalista “scomodo” che definì i libri di memorie “una forma di prostituzione”. L’editore sostiene che Assange, che in quel periodo era gravato da spese legali da capogiro per pagare gli ingenti conti dei suoi avvocati difensori – nel processo per evitare l’estradizione in Svezia, dove pesa sulla sua testa una accusa di stupro – non è riuscito a restituire l’anticipo di 400.000 sterline che il numero uno degli editori inglesi gli aveva dato e per questo ha deciso di pubblicare il materiale, vendendo i diritti del libro a 38 case editrici in tutto il mondo, tra cui Alfred A. Knopf negli Stati Uniti.
Ma come mai quello che Victor Davis Hanson ha definito “un narcisista imbevuto di egocentrismo” ha tentato di censurare, con un’ingiunzione al tribunale, le 244 pagine di cui lui stesso ha dettato il contenuto? Probabilmente perché ha temuto che il materiale lo consegnasse direttamente al dipartimento della Giustizia americano pronto a incriminarlo per il “Cablegate”. Oppure, ipotesi più accreditata, perché Assange in quelle 50 ore di intervista ha svelato dei particolari nuovi di zecca sulla vicenda scottante delle accuse di stupro da parte di due ex-attiviste di WikiLeaks in Svezia.
Nel libro, infatti, l’australiano sostiene che una fonte lo aveva avvertito che il governo americano stava preparando una trappola legale per incastrarlo, al fine di bloccare il fiume in piena di rivelazioni che venivano fuori dal suo sito, e che, nonostante avesse avuto rapporti sessuali con due donne, il fatto che non ci fosse stato il loro consenso fosse parte o di un disegno cospiratorio contro di lui o da una rivendicazione da parte delle amanti che lui non aveva più richiamato. Ma una cosa ribadisce a polmoni spiegati in quelle pagine: “Posso anche essere un porco sciovinista, ma non sono un violentatore”.
Sarà, ma questa vicenda aumenterà le grane legali per il platinato Assange che, già abbandonato da alcuni soci e boicottato da banche e istituti di credito, vedrà allungarsi inesorabilmente quella stessa spirale di spese che lo aveva portato a firmare il contratto con Canongate. E a poco servirà la raccolta di fondi che il sito da lui creato sta attuando, mettendo all’asta su eBay, cimeli – tra cui una bustina di caffè di prigione – del giornalista australiano.