Da Tedesco a Penati, il Pd trema sotto i colpi di giudici e giustizialisti

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Da Tedesco a Penati, il Pd trema sotto i colpi di giudici e giustizialisti

25 Luglio 2011

"Siamo diversi ma uguali agli altri” urlava Nanni Moretti in Palombella Rossa. Ora quel grido risuona nelle menti di molti dentro il Partito Democratico. Ci si muove sul filo della confusione, dei sospetti, del turbamento, dell’imbarazzo. La tela da tempo logora della superiorità morale appare ancora più sfilacciata del solito. E la consueta, granitica organizzazione difensiva contro le accuse giudiziarie, degna dell’Uruguay vista nell’ultima Coppa America, questa volta sbanda paurosamente sotto i colpi delle accuse rivolte dai militanti ai vertici del partito e agli esponenti invischiati nel fango delle inchieste giudiziarie.

Chi di questione morale ferisce, di questione morale rischia di perire. E’ questa la fotografia del Partito Democratico che dopo aver indossato l’abito giustizialista sul caso Papa è costretto i conti con l’assedio giudiziario che inizia a stringersi attorno a Via del Nazareno, sotto le accuse dell’imprenditore Piero Di Caterina. E fa fatica a governare il disordine e ad affrontare seriamente la questione morale sempre più evidente che sta (ri)nascendo al proprio interno. Il profilo assunto rispetto ai casi Tedesco e Penati, ancora tutti da chiarire, è di quelli ambigui, da “vorrei ma non posso”, la spia di un problema mai affrontato davvero fin dai tempi di Mani Pulite e di una vicenda storica in cui il Pci-Pds-Ds non venne toccato dai giudici di Milano. Ora il problema si ripropone con l’incedere delle indagini che finiscono, come sempre, per riproporre anche un problema politica e accendere i riflettori sugli scontri tra correnti. Le ultime vicende giudiziarie rischiano infatti di accendere i riflettori sulla consueta divisione tra gli ex margheritini e gli ex diessini, accusati dai primi di essere troppo inseriti in vecchie logiche collaborative tra politica e affari.

Nel merito delle vicende di questi giorni, è lo sconcerto a farla da padrone per le mancate dimissioni di Alberto Tedesco. L’atteggiamento del senatore – passato dalla richiesta di votare l’autorizzazione a procedere per il suo arresto rivolta calorosamente ai colleghi di partito al gran rifiuto di dimettersi da senatore – fa sicuramente venire l’orticaria a molti dentro il partito. I polemisti più affilati sono Enrico Letta, Rosy Bindi, Debora Serracchiani, tutti decisi nell’intimargli le dimissioni. Ma è dalla base che sta salendo l’invito a consegnarsi alla giustizia rivolto al senatore pugliese. Un pressing che si tramuta facilmente in una critica a tutto campo rivolta verso il partito. Le accuse? Sia le modalità attraverso le quali Tedesco è stato portato in Parlamento, sia per il modo con cui, nel segreto del voto parlamentare, è stato sottratto agli arresti con la compartecipazione occulta dei parlamentari di Via del Nazareno. “Dov’era il Pd quando le "provvidenziali" dimissioni di De Castro offrirono a Tedesco la possibilità di subentrare e di ottenere così la comoda impunità parlamentare,sottraendolo alla giustizia ordinaria? Non ne sapeva niente,vero?” si leggeva ieri su un blog. Lui, Tedesco, è deciso a non lasciare Palazzo Madama ma annuncia che dirà addio alla sua tessera partitica. “Dal Pd – accusa Tedesco – non mi hanno neanche chiamato come si farebbe con una colf che si licenzia, mi hanno chiesto le dimissioni a mezzo stampa”, ma siccome “non vedono l’ora che me ne vada, li accontenterò tra qualche ora scrivendo una lettera di dimissioni al segretario”.

Se il caso del senatore è la scintilla sul fuoco dei sospetti interni, è però facile prevedere che saranno gli sviluppi della vicenda Penati a tenere banco nelle prossime settimane. “Il Pd non ha mai preso finanziamenti illeciti – ha scritto in una nota il tesoriere Antonio Misiani – i nostri bilanci sono pubblici e certificati da una società di revisione indipendente. Di fronte ad informazioni ambigue e fuorvianti, abbiamo deciso di dare mandato ai nostri legali per tutelare il buon nome del partito”. Ieri, invece, sono arrivate le “semi-dimissioni” di Filippo Penati, il vicepresidente del Consiglio regionale della Lombardia che nei giorni scorsi si era autosospeso in seguito all’iscrizione nel registro degli indagati di un’inchiesta per corruzione e concussione sull’ex area Falck, ha comunicato al segretario Pierluigi Bersani la decisione di autosospendersi da tutte le cariche che attualmente ricopre nel Pd, in primis il posto nella Direzione nazionale del partito. “Ora il mio primo obiettivo – scrive in una nota nella quale annuncia anche l’intenzione di dimettersi da vicepresidente dell’assemblea regionale lombarda – è quello di recuperare la mia onorabilità, di restituire serenità alla mia famiglia. Non voglio che la mia vicenda e la conseguente martellante campagna mediatica creino ulteriori problemi al mio partito”.

In ogni caso a riprova delle tensioni interne e quasi antropologiche che si stanno scatenando, Rosy Bindi ed Enrico Letta in un inciso fatto cadere quasi casualmente hanno tenuto a precisare che le questioni che coinvolgono Filippo Penati riguardano “un altro partito, non il Pd” . Che non era ancora nato nel 2001, quando ancora c’erano Ds e Margherita. Distinzione che non convince un popolare doc come Beppe Fioroni: ’Da sempre ho aborrito ogni uso strumentale della giustizia sia in chiave esterna che interna di partito. L’autonomia della magistratura va praticata, non predicata. Insomma, no alla tesi della superiorità morale, da qualunque parte provenga”.
Non c’è dubbio, però, che tanto il doppio binario percorso dal partito sul caso Tedesco, quanto i guai che stanno piovendo addosso a Penati e indirettamente su Pierluigi Bersani aprano di nuovo la discussione sulla leadership. Le accuse sul segretario piovono apertamente sui mezzi di stampa e a mezza bocca rimbalzano in Transatlantico, con la riproposizione degli schieramenti correntizi. Una giovane leva del Pd, Debora Serracchiani, però tenta una difesa del segretario. “L’attacco a Bersani è sbagliato, ha fatto bene finora ed è una guida affidabile. Non condivido la tesi che si sia circondato di persone sbagliate: in segreteria ha scelto giovani di valore. Detto questo, aggiunge, occorre lasciarsi dietro certe zavorre, serve aria fresca nel partito e un grande ricambio della classe dirigente”. Mentre Dario Franceschini si sforza, in una festa del Pd, di recuperare la superiorità morale del Pd rispetto al Pdl, la chiosa più sensata, come spesso avviene, arriva da Sergio Chiamparino. “Minimizzare sarebbe un errore”, fa capire l’ex sindaco di Torino Sergio Chiamparino: “La diversità va conquistata. Poteva forse essere un dato di appartenenza un tempo, quando c’era una rigida selezione per accedere ai partiti. Oggi non è così. E così non va”.