Da Vendola sulle fonti rinnovabili molta demagogia e poco realismo
18 Marzo 2011
All’indomani della tragedia di Fukushima l’ineffabile presidente della regione Puglia, travolto dagli scandali della gestione sanitaria, approfitta della fuga radioattiva conseguente ad uno dei più grandi terremoti della storia dell’umanità per rilanciare il tema del no-nuke, nel più classico repertorio populista di cui è ineguagliato maestro. Attualmente la situazione in Giappone è quella di disastro potenziale, e si spera di riuscire a contenerla affinché non si trasformi in disastro reale. Non si può ragionare dei pericoli del nucleare all’indomani di un episodio del genere, ma certo la potenziale tragedia deve far riflettere.
Esiste, in Italia, una grande difficoltà di sviluppo dovuta alla mancanza di autonomia energetica, alla dipendenza dal petrolio, ad un trasporto che si ostina ad avvenire nella quasi totalità su gomma. Come risolvere questi problemi? Coloro che non vogliono il nucleare sostengono, non senza una parte di ragione, che altrove si tratta di una tecnologia in via di dismissione, per passare alle fonti rinnovabili, più pulite e meno pericolose. Vendola, nel suo videomessaggio, parla di generazione diffusa, di mini impianti a servizio di piccole abitazioni o comunità, di appartamenti costruiti in modo da risparmiare energia. Ma, in realtà, questo tipo di generazione potrebbe, al limite, risolvere le difficoltà della singola famiglia o del singolo condominio. Non certo quelle dell’impresa, di una nazione che vuole crescere e svilupparsi.
Le fonti rinnovabili hanno limiti – costituiti essenzialmente dal fatto che non possono dare un’energia costante nel tempo – e difetti, determinati dalla notevole estensione degli impianti, oltre che dai costi della produzione (il costo di un impianto per la produzione di energia fotovoltaica non si ammortizza in un tempo economicamente apprezzabile, senza incentivi). Per il gap energetico che affligge il nostro paese non è possibile affidarsi, quindi, alla microgenerazione vagheggiata dal presidente Vendola. L’alternativa dovrebbe essere quella di cambiare radicalmente la nostra economia, il nostro modo di vivere, la nostra stessa mentalità. Si fa l’esempio della Germania, della Catalogna, della California. Paesi nei quali soprattutto i privati hanno investito enormi risorse nella green economy, diventando protagonisti a livello mondiale. Paesi nei quali tali investimenti stanno cambiando la vita degli abitanti: dal ciclo dei rifiuti fino alla produzione dei pannelli, dalle coltivazioni di biocarburanti alla costruzioni di piattaforme off shore, di pipeline sotterranee per la rigassificazione, di cogenerazione, etc.
In Puglia, nell’Ato di Bari, il ciclo dei rifiuti non è stato completato, non esiste impianto di compostaggio, né impianto di distruzione dei rifiuti. Non si riesce a costruire il rigassificatore a Brindisi, non si riesce a costruire la centrale a turbogas a Modugno, non parliamo neppure di biomasse o di piattaforme off shore. La raccolta differenziata, dopo cinque anni di Vendola ed Emiliano, a Bari è aumentata dal 7 al 12%. Di cosa parla il presidente Vendola? Di qualche pannello sul tetto? E così pensa di risolvere il problema dell’approvvigionamento energetico italiano? La green economy, o nella più recente declinazione ambientalista, la blue economy, comporta una mentalità completamente differente, comporta anche interventi invasivi sul territorio, comporta centrali in grado di sfruttare le biomasse, l’acqua del mare, i rifiuti, tutto quello che serve. Comporta, altresì, una filiera in grado di sfruttare gli scarti, di rigenerare i rifiuti, senza più buttare nulla ma riutilizzando il 100% delle risorse. Sono pronte l’Italia ed in particolare la Puglia ad una rivoluzione culturale di questa portata? E’ più facile cimentarsi in un’impresa del genere, o costruire una centrale nucleare sicura? Il rischio è che la crisi mondiale petrolifera ci trovi, un’altra volta, a metà del guado.
Se non avessimo fatto quella scelta vent’anni fa, adesso potremmo valutare una transizione verso questa nuova economia supportati da una produzione nucleare che comunque avrebbe fatto da “ciambella di salvataggio”. Oggi abbiamo la schiena scoperta. La scelta allora è: cambiare subito, con tutto quello che comporta, o comunque costituirci una via di transizione, seppur tardiva? Scelte populistiche, in questa fase, alimentate dal terrore di una tragedia, per ora potenziale, ma ingigantita nei maxischermi mass mediatici, potrebbero pregiudicare per sempre il nostro futuro. In un senso o nell’altro. Occorre, con calma e serenità, valutare i dati disponibili, fare previsioni realistiche, e compiere una scelta di campo definitiva, con la consapevolezza della popolazione che qualsiasi scelta dovrà essere matura e condivisa, che qualsiasi scelta comporta sacrifici.