Da Zapata a Fariñas, la “Primavera nera” di Cuba non è mai finita

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Da Zapata a Fariñas, la “Primavera nera” di Cuba non è mai finita

18 Marzo 2010

A Cuba, i dissidenti non mollano e continuano la loro lotta contro il regime di Castro. La morte di Orlando Zapata Tamayo, deceduto dopo 85 giorni di sciopero della fame per chiedere la liberazione dei prigionieri politici, non è servita a placare la battaglia contro l’oppressione della dittatura. Seguendo l’eroico gesto di Zapata, 4 detenuti e un dissidente hanno cominciato negli ultimi giorni altri scioperi della fame per protestare contro le autorità che hanno lasciato morire l’oppositore di 42 anni e chiedere la liberazione di 26 detenuti politici malati. Forti del sostegno di alcuni Paesi stranieri, tra cui in primo piano l’Italia e la Spagna, i cubani non si arrendono e chiedono, sempre più ad alta voce, giustizia e libertà.

Domani saranno passati 7 anni dalla “Primavera Nera”, le terribili giornate in cui la dittatura di Fidel Castro Ruz mostrò il suo volto più violento lanciando un’ondata repressiva contro i giornalisti indipendenti, i sindacalisti e gli avversari al regime. Di fronte alla crescente forza della opposizione cubana e approfittando dell’attenzione internazionale nei confronti della guerra in Iraq, il 17 marzo 2003 Castro lanciò una repressione in grande stile, aizzando centinaia di agenti degli Uffici di Sicurezza del Stato – la polizia politica cubana – lungo tutto il Paese e in forma sincronizzata. La polizia irruppe in un centinaio di case, interrogando i loro abitanti, confiscando computer, fax, macchine da scrivere, foto, e arrestò più di 70 oppositori politici, principalmente giornalisti indipendenti, difensori dei diritti dell’uomo, bibliotecari e sindacalisti indipendenti. Qualche giorno dopo, alcune persone che per protesta dirottarono un traghetto, vennero persino fucilate.

Il giornalista Guillermo Fariñas, in sciopero della fame e della sete dal 24 febbraio, è oggi uno dei dissidenti più famosi insieme alla blogger Yoani Sanchez e ai prigionieri Eduardo Diaz Fleitas, Diosdado Gonzalez Marrero, Fidel Suarez Cruz e Nelson Molinet Espinoso. Proprio ieri Fariñas ha inviato un messaggio diretto al governo italiano chiedendo di condannare la morte di Orlando Zapata e la situazione in cui si trovano i prigionieri politici, “indipendentemente da quella che è la posizione politica dell’Unione europea”. Questo perché dal 1996 l’Ue si è impegnata a mantenere aperta la porta al dialogo con Cuba, una “posizione comune” che vincola i rapporti statali al rispetto dei diritti umani e delle libertà politiche nell’isola. Un obiettivo ovviamente ancora non raggiunto. “E’ importante che l’Europa non si faccia abbindolare dalle sirene dell’Avana perché sarebbe un modo di dare ossigeno a Castro. Quel che bisogna fare è invece condannare e isolare il governo cubano”, afferma il giornalista dissidente.

L’Italia non è l’unico Paese del Vecchio Continente chiamato in ballo. La Spagna di Zapatero, passata da essere leader del gruppo di pressione contro Cuba a fautore del disgelo verso l’Isola, ha espresso in questi giorni la sua opposizione ai Castro. Ma a farlo non è stato l’Esecutivo di Madrid (più occupato a pensare ai ritorni economici legati a una maggiore apertura verso Cuba), bensì un vasto gruppo di esponenti ispanici del mondo della cultura e dello spettacolo, molti dei quali più vicini a posizioni socialiste che liberali. E’ in caso di Pedro Almodóvar, il filosofo Fernando Fernández Savater e la cantante spagnola Ana Belén. Per ora, oltre 7mila firme sono state apposte al documento “Io accuso il governo cubano” in cui si richiede “la liberazione immediata e senza condizioni dei detenuti politici a Cuba”.  Persino il quotidiano spagnolo vicino alla sinistra “El País”, in un editoriale, ha criticato la politica di apertura nei confronti di Cuba raccomandata dalla presidenza di turno spagnola. “La strategia di mettere in sordina le esigenze politiche nei confronti del regime cubano per strappare delle concessioni umanitarie – scrive il quotidiano – non funziona e, al contrario, porta a un peggioramento dei diritti umani” a Cuba.

Gli Stati Uniti che, appena un anno fa, sotto la spinta del neoeletto presidente Obama revocarono una serie di restrizioni nei confronti di Cuba (permettendo i viaggi e l’invio di denaro tra familiari che vivono nei due Paesi), dalla morte di Zapata si sono trovati in una situazione a dir poco delicata. A Capitol Hill si inizia a temere per lo stallo della proposta di legge per abrogare tutti gli embarghi rimasti contro L’Avana. Alla morte di Orlando Zapata gli Usa hanno reagito chiedendo “la liberazione immediata di oltre 200 prigionieri politici”. Nella dichiarazione si ricorda inoltre che una delegazione Usa impegnata la scorsa settimana in colloqui a Cuba per discutere problemi legati all’emigrazione “aveva sollevato la questione della detenzione di Zapata e delle sue cattive condizioni di salute” con i funzionari cubani “sollecitandoli a provvedere con urgenza la assistenza medica necessaria”. Una richiesta che, purtroppo, è arrivata troppo tardi.

Intanto, per le strade de L’Avana hanno incominciato a sfilare las damas de blanco, le donne vestite di bianco che chiedono la liberazione dei propri cari, in carcere per questioni di coscienza o condannati per reati d’opinione. “Stanno facendo il possibile affinché io non muoia”, racconta Fariñas riferendosi ai medici dell’ospedale Arnaldo Milian Castro in cui è ricoverato in terapia intensiva dove viene idratato ed è sotto sorveglianza permanente. Ad avere l’ultima parola è il governo di Raul Castro che, secondo il giornalista gli starebbe dando “l’opportunità storica di morire come un patriota e dimostrare al mondo che non siamo mercenari”.

Il senatore statunitense della Florida Bill Nelson ha definito la morte di Zapata “un triste promemoria del tragico costo dell’oppressione e della dittatura che non dà valore alla vita umana”. Chissà quante altre vittime dovranno essere commemorate prima che il regime cubano decida di dare una svolta definitiva e restituire ai propri cittadini un proprio diritto naturale: la libertà.