Dagli immigrati ai tassi d’interesse, l’Europa fa figli e figliastri
13 Aprile 2011
Se c’è una cosa che funziona negli Stati Uniti è il fatto che un abitante della California può partire e andare in cerca di lavoro a New York piuttosto che nello stato del Kansas. La California, New York e il Kansas sono tre stati dell’Unione molti diversi tra loro, sia nella composizione sociale che da un punto di vista economico e culturale, ma fanno parte della “zona del dollaro”, che garantisce a un americano di spostarsi, fare acquisti e vivere in una città americana piuttosto che in altre: la mobilità sociale, quella del lavoro, la libera circolazione del capitale, un governo federale che si occupa della spesa pubblica e del fisco, sono i baluardi della libertà economica e individuale negli Usa.
In Europa invece questo non accade, ovviamente perché non siamo un unico stato come gli Usa, ma anche perché la Ue ha messo in atto dei meccanismi di convergenza, economici, sociali, culturali, che avrebbero dovuto favorire l’integrazione dei Paesi membri e invece non funzionano (nonostante dai tempi della CECA si sia cercato di eliminare quei vincoli che bloccano la mobilità del lavoro). Abbiamo l’euro, e ci è costato lacrime e sangue, ma se un giovane del Mezzogiorno italiano, una regione afflitta da una grave disoccupazione, decide di trasferirsi in cerca di lavoro nel Baden Wuerttemberg, il land tedesco dove la disoccupazione è al 4%, probabilmente incontrerà una lunga serie di problemi, che non dipendono esclusivamente dal fatto di doversi acclimatare in una terra più fredda, culturalmente diversa, e dove si parla una lingua ostica e lontana da quella materna. Vivere in provincia di Caserta non è la stessa cosa che farlo dalle parti di Stoccarda. Magari da un punto di vista previdenziale c’è stato qualche passo avanti nell’integrazione, ma da quello del potere d’acquisto no, c’è ancora disomogeneità.
Alzare di un quarto di punto i tassi d’interesse, per esempio, come ha fatto la scorsa settimana la BCE per evitare l’insorgenza dell’inflazione, se da una parte è in linea con le politiche rigoriste seguite in questi anni da Bruxelles, di fatto favorisce la locomotiva europea, la Germania, entrando in contraddizione non solo con i piani di salvataggio per la Grecia, l’Irlanda o il Portogallo, ma anche con la situazione di quegli stati europei che sono sovra-indebitati, costretti a tirare la cinghia e depressi da bassi tassi di occupazione. Altro che principio di convergenza: la mossa della BCE ha avvantaggiato la Germania rispetto ad altri Paesi europei.
Un discorso simile si può fare per gli immigrati arrivati a Lampedusa, 20.000 persone che il governo italiano – giustamente, dal suo punto di vista – vorrebbe dotare di permesso di soggiorno temporaneo in modo da distribuirli nell’area Schengen, visto che molti di loro guardano al nostro Paese come ad una tappa transitoria prima di trovare lavoro o di ricongiungersi, com’è il caso dei tunisini, alle famiglie che vivono in Francia. Ci si può chiedere se per l’Italia sia conveniente essere un punto di passaggio dei flussi migratori, come avvenne negli anni novanta, quando tanti immigrati dai Balcani attraversarono il nostro Paese senza restarci. Così come non dovremmo strapparci le vesti sulle politiche restrittive imposte dalla Francia nei nostri confronti a Ventimiglia, visto che anche noi, nel recente passato, abbiamo alzato la voce con la Romania (di romeni e albanesi ne abbiamo accolti molti). Si può anche provare a identificarsi con i governi di Francia e Germania, che hanno una popolazione di immigrati molto più alta della nostra, una società multiculturale in via di fallimento, e la minaccia latente della islamizzazione, tre fattori che spiegano "l’egoismo" mostrato nei nostri confronti.
Ma pur tenendo presente queste spiegazioni, sta di fatto che le tecnicalità sollevate da Bruxelles e il congelamento della proposta italiana del permesso di soggiorno temporaneo vanno nella direzione opposta a quella della libera mobilità degli individui che doveva essere uno dei presupposti della “zona euro”. Nei giorni scorsi, i grandi giornali francesi come Le Monde e Le Figaro hanno scritto chiaramente che l’Italia, su Lampedusa, è stata lasciata sola dagli altri Paesi europei. Ma allora perché Sarkozy si è riempito tanto la bocca della campagna per liberare la Libia? Che senso ha parlare di accoglienza dei rifugiati se poi nessuno vuol prenderseli? Cosa dovrebbe fare l’Italia davanti a centinaia di migliaia di profughi libici che riempiono i campi tunisini e premono verso il confine meridionale dell’Unione? Dovremmo organizzare un’operazione degna del Piano Marshall per rispedire i nuovi arrivati in Tunisia? Non proviamoci neppure, il ministro Maroni verrebbe dipinto di nuovo come un nipotino di Eichmann.
Che si parli di economia o grandi questioni sociali, in realtà, l’edificio europeo sta franando. La BCE ha favorito la Germania alzando i tassi d’interesse, Bruxelles ha fatto un favore alla Francia: non siamo ancora tornati alle frontiere di una volta, al ripristino delle dogane tra Roma e Parigi, ed è probabile che alla fine la Ue dovrà scendere a patti con l’Italia sulla questione degli immigrati (così come farà con Madrid se anche la Spagna dovesse andare in default), ma è evidente che davanti alle crisi, qualsiasi esse siano, la convergenza diventa sempre più una divergenza, e la visione postmoderna di un continente unito cede il passo ai vecchi, mai sopiti interessi nazionali.