Dagli Usa la lezione all’Italia paralizzata dallo sciopero

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Dagli Usa la lezione all’Italia paralizzata dallo sciopero

30 Novembre 2007

Tutti
a piedi. Oggi l’Italia è chiusa per sciopero e nessuno può farci nulla: il
governo è impotente di fronte al più grande sciopero della categoria dei
trasporti che si sia registrato dal 1990 ad oggi.

Una paralisi annunciata, con
aerei, traghetti, treni, bus e metrò fermi per protesta contro il taglio di
risorse per il settore previsto dalla Finanziaria.

Ma non basta. A incrociare
le braccia sono anche i dipendenti di autoscuole, autonoleggi, soccorso
stradale, autostrade, funivie e persino i conducenti di carri funebri. Poi
 i lavoratori dei porti, dell’Anas, del
trasporto merci e spedizioni. Insomma, una paralisi totale.

Uno scacco matto
all’efficienza che in altre nazioni, Stati Uniti in primis, sarebbe stato
semplicemente impossibile, vietato da una legge che punisce con severità i
blocchi indiscriminati di servizi pubblici essenziali.

 In Italia invece questo è solo l’ennesimo di
una lunga serie di venerdì neri, l’ennesima incontrollabile degenerazione di un
istituto, quello dello sciopero, il cui controllo sembra ormai sfuggito di mano
anche alla Commissione di garanzia che dovrebbe vigilare sulla corretta
applicazione della normativa. Dovrebbe, appunto. Perché nella pratica
l’organismo gode di poteri di intervento pressoché ininfluenti grazie alle previsioni
morbide della legge 146 del 1990. Che, come scrive Oscar Giannino su “Libero”,
seppure abbia regolamentato lo sciopero nell’ambito dei servizi pubblici
essenziali, si è limitata in buona sostanza a ricalcare il codice di
autoregolamentazione che i sindacati si erano dati  nel 1980 e nel 1984.

Una
norma che legittima il diritto di sciopero senza riservare la benché minima
tutela al diritto dei cittadini di muoversi, andare a lavorare e spostarsi in
piena autonomia. È grazie a regole come questa che un intero paese può essere
messo in ginocchio da una mobilitazione di massa che, c’è da giurarci, resterà
impunita.

Una situazione impensabile negli Usa, dove per uno sciopero generale
o per pratiche da noi assolutamente tollerate come i boicottaggi e
l’occupazione del luogo di lavoro i sindacati possono essere portati alla
sbarra e i lavoratori rischiano di pagare di tasca propria multe salatissime in
caso di adesione. Con il famoso Taft hartley Act del ‘47 (quasi totalmente ancora
in vigore) vennero infatti dichiarate illegittime una lunga serie di pratiche
sindacali.

Ma in
Italia le cose stanno diversamente. Tanto da spingere il capo della Protezione%0D
civile a lanciare l’allarme per le possibili ripercussioni negative dello
sciopero sugli interventi di soccorso e in caso di pericolo: «Abbiamo espresso
al governo – ha dichiarato ieri Guido Bertolaso – la preoccupazione che una
paralisi totale del traffico possa creare difficoltà nelle situazioni di
emergenza».

Un appello che, dopo il fallimento dell’incontro di martedì sera
col ministro dei Trasporti Alessandro Bianchi, non ha scalfito la sicumera dei
sindacati responsabili dello stato di agitazione odierno, Fit-Cisl, Filt-Cgil,
Uil Trasporti e Ugl: «Protestiamo – hanno ribadito in coro gli organizzatori
della contestazione senza timore di essere trascinati in tribunale da una
giustizia inerme – contro una manovra finanziaria che lascia sul tappeto
problemi cruciali come la condizione disastrosa di Alitalia e delle Ferrovie
dello Stato, il futuro della compagnia di navigazione pubblica Tirrenia e il
nodo dei contratti».

Le fasce orarie di garanzia sono state rispettate
ma la paralisi delle città (dovuta all’altissima adesione) è stata ugualmente
fortissima.

“In queste condizioni – concludono Filt-Cgil, Fit-Cisl e
Uiltrasporti – sono inevitabili pesanti effetti sui lavoratori del comparto e
sui rinnovi contrattuali, mentre l’attesa dei cittadini di un sistema dei
trasporti in grado di sostenere lo sviluppo e una migliore qualità dell’intero
sistema della mobilità rimangono ancora senza risposte”.

Peccato che la condizione
del trasporto pubblico gli italiani la conoscono fin troppo bene. Come anche i
continui diktat dei sindacati, utili spesso a formulare accordi che con la
tutela dei lavoratori hanno poco a che spartire.