Dai Dico ai Cus. Sui conviventi il governo cambia strada

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Dai Dico ai Cus. Sui conviventi il governo cambia strada

12 Luglio 2007

Si chiamano Contratti di unione solidale e rappresentano la
scorciatoia trovata dal governo per regolamentare le convivenze civili. Dopo il
Family day nessuno all’interno della maggioranza ha più avuto il coraggio di
ritornare sulla questione Dico, anche se solo nominalmente. E proprio oggi Cesare
Salvi, presidente della commissione Giustizia del Senato, ha tirato fuori dal
cilindro l’evoluzione quanto più bipartisan possibile – almeno così sperano all’interno
della maggioranza – dei Dico: i Cus, i contratti di unione solidale. Il nuovo
testo sulle unioni civili è stato appena valutato da un comitato ristretto della
Commissione Giustizia ma già se ne conosce la sostanza. Si tratta di un vero e
proprio contratto, concluso tra due persone anche dello stesso sesso, di fronte
ad un giudice di pace o ad un notaio, per l’organizzazione della vita in
comune.

La stipulazione avviene mediante dichiarazione congiunta, ed
è inserito, spiega Salvi, “come titolo aggiuntivo del Codice civile che si
occupa della persona e della famiglia. Prevede diritti e doveri fra le parti,
può essere stipulato a scelta delle parti davanti al giudice di pace ovvero
davanti al notaio, ma in questo secondo caso il notaio deve trasmetterlo entro
10 giorni al giudice di pace ai fini di pubblicità. E’ infatti previsto un
registro di pubblicità”. Come ogni contratto che si rispetti la
risoluzione  può avvenire per comune
accordo dei due contraenti, per decisione unilaterale di uno dei due, per
matrimonio di uno dei due o  per morte.  

Salvi, illustrando meglio il testo messo a punto, ha anche
specificato che esso “ha cercato di tener conto dei lavori della commissione e
in particolare del disegno di legge del senatore Biondi (di Forza Italia) e del
ddl del governo”. E questo è il punto su cui si giocano le speranze di successo
dell’intero progetto. Aprire ad una parte della CdL, per potare a casa il
risultato. I primi segnali positivi in questa direzione non si sono fatte
attendere. Uno tra i primi a parlare è stato proprio quell’Alfredo Biondi,
senatore forzista, che aveva presentato mesi fa la proposta alternativa ai Dico,
a cui i Cus, poi, si sono ispirati: “Prendo atto con soddisfazione che il
Comitato ristretto della Commissione Giustizia del Senato ha posto a base del
testo proposto dal Presidente Salvi il disegno di legge sul contratto civile di
convivenza che a suo tempo avevo presentato al Senato. Le modifiche apportate
possono essere discusse e discutibili, ma la prevalenza delle proposte,
contenute nel ddl può determinare una larga convergenza trasversale che
consente di superare le contrapposizioni che si erano manifestate sul ddl del
Governo”.

Ma la partita non sarà facile come sembra. Di tutt’altro
avviso sembrano essere altri esponenti dell’opposizione: “Ci si trova di
fronte a una ‘famiglia-fai-da-te’, che indica l’elenco dei diritti e dei doveri
reciproci, non coincidenti con quelli descritti per ogni famiglia dalla
Costituzione e dal Codice civile” scrivono in una nota Alfredo Mantovano di An,
Laura Bianconi di Forza Italia e Massimo Polledri della Lega. “Persa in
piazza San Giovanni e nel Parlamento la prospettiva di approvare i Dico – sottolineano
gli esponenti della Cdl – si è trovata la strada dei Cus”. La differenza sostanziale
fra il ddl Biondi e il ddl del Governo sui  Dico – affermano – è che nel primo caso non è previsto
un riconoscimento pubblico della realtà di fatto costituita dalla convivenza; ma
questo non si traduce nella mera possibilità di regolamentare per contratto
privato specifici aspetti dell’unione non matrimoniale, come ad esempio la
comunione dei beni o la titolarità della locazione. Si traduce in qualcosa di più,
e di più significativo: il contratto d’unione solidale, pur mantenendo natura
privatistica, acquista un contenuto generalistico. I due partner si recano dal
notaio o dal giudice di pace e gli prospettano la registrazione di un loro “pacchetto
famiglia”, modulato sulla base delle esigenze e dei desideri di entrambi”.

Dalla parte del governo ci va cauta Paola Binetti, che il
giorno del Family day si trovava in prima fila in piazza San Giovanni dalle
prime ore del mattino, e che proprio per le sue posizioni “ortodosse” ha
procurato non pochi grattacapi a quelli della sua coalizione. Il testo Cus “va
valutato, perché al momento gli ho dato solo una rapida occhiata e l’esperienza
insegna che questa su questa materia non si possono fare valutazioni affrettate”,
ad ogni modo – continua – l’importante è che il nuovo contratto previsto, non
possa essere confuso con il matrimonio civile: “Non vogliamo matrimoni di serie
b”.

Prende tempo e sposta l’obiettivo Eugenia Roccella,
portavoce del Family day:  “A due mesi
esatti dalla manifestazione del 12 maggio a piazza San Giovanni, tracciare un
primo bilancio delle politiche familiari del governo è semplice: in favore
della famiglia non si è fatto nulla e previsto nulla. Il tesoretto si è
squagliato, la conferenza per la famiglia promossa dal ministro Bindi è rimasta
un’opportunità sprecata, però in commissione giustizia c’è un nuovo ddl sulle
coppie di fatto. Il governo ha ignorato le richieste della maggioranza delle
famiglie italiane, ma continua a considerare urgente e prioritario riconoscere
le unioni di fatto, che rappresentano appena il 4 per cento del totale”.

Contenti a metà anche gli esponenti dell’arcigay: “La
proposta presentata dal senatore Cesare Salvi cancella l’odiosa discriminazione
nei confronti delle coppie conviventi che non erano riconosciute in quanto
tali, e si prevede un registro pubblico presso il giudice di pace. Purtroppo i
Cus, al pari dei Dico non rispondono in alcun modo alla richiesta avanzata dal
movimento lgbt (lesbiche, gay, bisessuale, transgender) italiano di piena
equiparazione della dignità delle persone e delle coppie omosessuali. Per noi
l’unica proposta di legge soddisfacente è una ed una sola: il matrimonio
civile”.