Dal dottor Dollent all’ispettore Torrance tutti gli altri detective di Simenon
12 Giugno 2009
Simenon non si propose mai di produrre generi letterari diversi, né prospettò mai una distinzione tra i romanzi psicologici e i romanzi o racconti “gialli”. Lo scrittore, con il suo metodo, intese invece dedicare le proprie straordinarie energie letterarie ai più svariati profili dell’essere umano, suscettibili di essere indifferentemente approfonditi, prescindendo dal tema e dall’argomento trattati. Ciò al punto che elementi riscontrabili tra le inchieste del Commissario Maigret possono agevolmente riscoprirsi in altri romanzi, racconti o novelle che non hanno come protagonista il celebre commissario del Quai des Orfèvres o che non concernono necessariamente il cosiddetto genere noir.
Lo stesso funzionario della polizia giudiziaria parigina non fu l’unico investigatore creato dalla prolifica penna dello scrittore belga, in quanto altri personaggi, collocati in ambienti giudiziari diversi, ovvero in contesti agli stessi assai o poco vicini, hanno interpretato ruoli determinanti in numerosi lavori del romanziere belga.
La società francese con le sue inevitabili contraddizioni, gli spaccati di verità e pietà umane, le ingiustizie e i drammi quotidiani, nonché l’operatività dell’inesorabile legge del “Caso” (che implacabilmente regola e governa ogni accadimento) trovano spazio in una serie di scritti poco conosciuti, che alcuni non esiterebbero epidermicamente a definire “gialli”, nei quali il ruolo principale viene affidato ad un detective diverso da Maigret.
Nel 1943 Simenon scrisse tredici storie, raccolte nel volume Le petit docteur (edite parzialmente nel 1960 in Italia) che vedono come protagonista un giovane ed apparentemente sprovveduto medico condotto, Jean Dollent, affascinante personaggio che vive e lavora sulla costa occidentale francese, il quale, per un mero “Caso” (le coincidenze, gli imprevisti e le circostanze fortuite rivestono un ruolo determinante nell’opera simenoniana) si ritrova a dover investigare su piccoli e grandi misteri, riuscendone sempre a trovare la spiegazione più plausibile.
Certamente i tredici racconti (dieci dei quali pubblicati da Mondadori) non possono essere definiti “gialli” in senso stretto: in essi non possono individuarsi gli “ingredienti” tipici del romanzo poliziesco. Il dottorino, infatti, non è dotato di alcun talento investigativo; per un semplice “Caso” fortuito si trova a dover risolvere un primo problema in cui è rimasto coinvolto per la sua attività di medico; procede (proprio come Maigret) disattendendo ogni metodo induttivo scientifico, affidandosi all’intuito personale, nonché alle impressioni e alle sensazioni del momento.
Anche qui Simenon, attraverso il suo personaggio, ci fa conoscere ambienti familiari poco sani, relazioni umane spesso condizionate dall’interesse, dal profitto personale e dalla cattiveria, uomini inclini ai crimini più abietti e determinati spesso da motivi banali; il dottor Dollent, proprio come Maigret, conduce le sue estemporanee indagini “on the road”.
Egli, a bordo di uno scalcinato macinino, gira per la provincia francese, attraversando strade sterrate; dopo essere entrato, a causa del suo lavoro, nelle case private, rimane sorpreso nel coglierne gli aspetti più intimi, drammatici e – spesso – tragici. Consapevolmente o inconsciamente si induce a risolvere piccoli e grandi problemi, restìo – però – a rivendicare ogni merito o a compiacersi per l’obiettivo raggiunto. Non giudica mai, prende atto della realtà, cerca di comprendere senza condannare; manifesta un’umanità ancor più evidente rispetto a quella rappresentata dal funzionario della polizia parigina, ma non per questo più profonda.
Anche il medico condotto, al pari del Commissario, considera come spesso coloro i quali vengono giudicati colpevoli siano le vere vittime delle vicende nelle quali sono rimasti coinvolti; quasi sempre viene indotto a ritenere come ognuno nella vita si comporti come meglio sa e può fare, rimanendo talvolta pregiudicato dalle stesse proprie azioni, consumate senza una preordinata cattiveria, ma condizionate dalle proprie debolezze o addirittura imposte dalle contingenti circostanze.
Anche ne “Il dottorino” Simenon non offre ampio spazio alla vicenda giudiziaria o criminale (in realtà appena accennata), non ne esalta gli aspetti tecnici, tantomeno indulge a diffusi riferimenti giuridici o procedurali; egli utilizza il suo eroe per indagare nelle umane coscienze, nelle emozioni più interiori e – soprattutto – nelle motivazioni (reali o supposte) che determinano l’umana attività. Né può ritenersi che il “metodo Simenon” valga laddove alle vicende criminali non si attribuisca il connotato della ufficialità.
Un altro investigatore, tante volte descritto con ammirazione da Simenon nelle pagine relative alle inchieste di Maigret, è l’ispettore Torrence. Al collaboratore del Commissario l’Autore ha dedicato, sempre nel 1943, in via esclusiva ben 14 novelle, 8 delle quali pubblicate sotto la voce I delitti dell’Agenzia d’“O” tra il 1953 ed il 1960 in appendice a “I Capolavori dei Gialli Mondadori”.
E’ singolare come Simenon avesse deciso di scrivere alcuni racconti il cui protagonista fosse proprio l’ispettore più fidato del celebre commissario, immediatamente dopo il “primo” collocamento a riposo dello stesso funzionario di Polizia (ufficializzato nel 1934 nel romanzo Maigret). Quest’ultimo venne (dietro incessanti pressioni dei lettori e l’inevitabile richiesta dell’editore) “riassunto” in servizio, ma nei racconti dell’Agenzia fondata da Torrence del “Capo” non vi è più traccia (tranne quella, breve e fugace, in una delle ultime novelle).
L’agenzia di investigazioni assume una struttura semplice e presenta un’organizzazione assai rudimentale: l’ispettore (anch’egli prematuramente in pensione) viene coadiuvato solo dalla signorina Berthe (sua segretaria) e da Emile (maldestro ma intelligente factotum); si muove ed opera proprio come il suo adorato ex-superiore. Egli fuma continuamente la pipa, beve (spesso in quantità eccessiva) birra alla spina, mangia disordinatamente e si ispira attizzando il fuoco nella stufa di ghisa che si è fatto personalmente installare nel suo ufficio o guardando la Senna dalla finestra aperta.
Le sue indagini (ovviamente non ufficiali perché affidategli da privati per questioni di natura strettamente personale) vengono svolte con metodi assai empirici, informali; non rispettano tecniche di investigazione scientifica e sono affidate all’esperienza personale e alla conoscenza pregressa di uomini e situazioni. Il lettore non può non rilevare come a Torrence Simenon non riconosca il talento e l’intuito attribuiti invece al Capo ma come allo stesso non neghi la capacità di cogliere gli aspetti apparentemente più insignificanti delle vicende sottoposte alla sua attenzione, e l’abilità (o è mera fortuna?), di trarne spunti decisivi per la soluzione del caso concreto.
Anche l’ispettore, quindi, non è seguace di metodi investigativi rigorosamente codificati, quali quelli praticati e rigorosamente osservati dai questori e dai giudici istruttori, così poco simpatici a Simenon e ai suoi poliziotti preferiti perché freddi moralisti e falsi burocrati. Ma non sia detto che Simenon (al quale nulla sfugge e che desidera sempre rappresentare quanto la vita gli offre in ogni suo aspetto) non abbia voluto dedicare anche a costoro qualcuna delle ottanta cartelle quotidianamente manoscritte!