Dal G7 di Roma un richiamo ai governi contro il protezionismo
12 Febbraio 2009
I sette paesi più ricchi del mondo (Usa, Germania, Francia, Gran Bretagna, Italia, Canada e Giappone), più la Russia, si riuniranno domani sera a Roma per fare il punto sulle misure anticrisi già adottate e su quelle ancora allo studio. Il vertice dei ministri economici e dei governatori delle banche centrali apre ufficialmente il semestre di presidenza italiana del G8 e rappresenta il primo di una serie di incontri internazionali che avranno l’obiettivo di adottare regole condivise contro la difficile situazione economica che si è abbattuta con forza su tutti i Paesi industrializzati. Per il primo marzo è stato convocato un vertice straordinario dei capi di Stato e di governo dell’Unione europea; il 2 aprile si terrà il G20 a Londra anticipato da un vertice preparatorio dei ministri economici a metà marzo; il 19 e 20 marzo è prevista la riunione del Consiglio Ue mentre il presidente della commissione europea, Josè Manuel Barroso, ha annunciato per maggio un altro vertice speciale dei capi di Stato e di governo in cui si affronteranno tutte le questioni legate all’impatto della crisi sull’occupazione.
La comunità internazionale decide quindi di serrare i ranghi con l’obiettivo di mettere a punto regole trasparenti e condivise nella finanza, nel commercio e nei servizi. Quel Legal Standard più volte invocato dal ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, e di cui si comincerà a discutere proprio domani, fino a sabato, nel G7 di Roma. L’incontro sarà anche la prima occasione ufficiale per sondare le intenzioni dei vari Paesi sul tema del protezionismo. «L’elaborazione di regole comuni – fanno sapere dl ministero di via Venti Settembre – e il contrasto a istanze protezionistiche, che tendono a essere più forti in condizioni economiche difficili, rappresentano le linee guida del programma di lavoro della presidenza italiana».
L’insorgere di tendenze protezionistiche è sicuramente uno degli aspetti più preoccupanti di questa crisi. Il ministro delle finanze giapponese, Shoichi Nakagava, ha chiesto agli altri paesi partecipanti che a Roma si discuta della clausola “buy american” contenuta nel pacchetto di aiuti del Congresso Usa (il G7 di domani rappresenta la prima uscita ufficiale del neoministro del Tesoro americano Timothy Geithner che sarà accompagnato in Italia dal governatore della Federal Reserve, Ben Bernanke). La clausola prevede che nella costruzione di opere infrastrutturali finanziate con risorse pubbliche le imprese debbano usare prodotti dell’industria statunitense. Ma l’America non è il solo Paese sul banco degli imputati, perché la tentazione di proteggere la propria industria nazionale sta contagiando anche altri governi. La Commissione europea ha già puntato l’indice contro il piano da 6,5 miliardi di sostegno all’auto del presidente Nicolas Sarkozy che vincola gli aiuti alle imprese che acquistino solo componenti prodotti in Francia.
La recessione oltre a stimolare la propensione dei governi a proteggere le loro economie sta alimentando nella popolazione, preoccupata per la crescente disoccupazione, un forte sentimento nazionalista, con il rischio di pericolose derive razziste. Pensiamo alla Gran Bretagna, dove gli inglesi hanno manifestato contro i lavoratori italiani dell’impresa Irem vincitrice di una commessa nella raffineria Lindsey Oil di Grimsby. Per non parlare della Spagna, dove il governo paga gli immigrati che decidono di tornare nel loro paese d’origine. E anche dalle nostre parti serpeggia da tempo sotto traccia un sentimento di ostilità contro gli stranieri accusati di rubare il lavoro agli italiani.
È necessario, perciò, che i Paesi definiscano un patto a difesa del libero scambio, evitando provvedimenti demagogici finalizzati solo ad avere un ritorno d’immagine nei confronti dell’elettorato spaventato dalla crisi. «Nessuno pensi di fare il cavaliere solitario», ha detto Barroso, lanciando un appello ai leader dell’Ue proprio in vista del vertice straordinario del primo marzo. «Non agite da soli, ma tutti insieme. Bisogna lottare contro ogni nazionalismo economico e contro ogni protezionismo interno, contrastando ogni forma di populismo». Come dire: la situazione è difficile e i governi sono di fronte a fortissime pressioni, ma bisogna mantenere la calma, analizzare la situazione e prendere provvedimenti nella giusta direzione.
In primo luogo bisogna comprendere che la crisi finanziaria ha amplificato le difficoltà dell’economia reale che esistevano già da diverso tempo. Da quando la produzione di beni e servizi nei paesi industrializzati ha allungato il passo rispetto alla capacità di consumo effettiva della popolazione (pensiamo ad esempio al mercato immobiliare americano e allo scandalo dei mutui subprime, ma anche agli enormi stock di vetture invendute e alla crisi dell’auto). La necessità di produrre su vasta scala ha immesso sul mercato un volume di beni e servizi che non trova un potere d’acquisto corrispondente. Questo sta determinando una diminuzione dei prezzi d’offerta (l’inflazione è in picchiata anche in Italia), che a sua volta causa una diminuzione del margine di profitto delle imprese e quindi una spinta a produrre di meno. La riduzione della produzione determina minori investimenti e, in particolare, tagli all’occupazione (l’Ue ha certificato che negli ultimi 4 mesi si sono già persi 130 mila posti di lavoro nell’industria e nell’edilizia, e per il futuro le previsioni sono ancora più nere). Con l’esercito dei disoccupati che si infoltisce, i consumi soffrono sempre di più e il circolo perverso riparte e si amplifica.
Ecco dove è necessario intervenire. Gli Stati Uniti hanno fatto sapere che nell’ambito del G7 dei ministri finanziari di Roma premeranno affinché i governi adottino misure coraggiose per aiutare l’economia. Speriamo che tale coraggio si manifesti interrompendo la retorica protezionistica e attuando invece serie politiche di sostegno alla produzione. Magari vincolando gli interventi pubblici non all’utilizzo di prodotti nazionali da parte delle imprese, ma al mantenimento, se non all’incremento, dei livelli occupazionali. E così inglesi e italiani potranno ritornare al pub per bere una birra insieme dopo il lavoro.