D’Alema difende il Governo ma è sempre più solo

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D’Alema difende il Governo ma è sempre più solo

12 Aprile 2007

Solo. Massimo D’Alema in aula alla Camera per riferire sull’uccisione dell’interprete Adjmal Nashkbandi è il ritratto della solitudine. Nella fila di poltrone dove di solito a Montecitorio siedono i membri del governo c’è solo il ministro degli Esteri. Assenti il premier Romano Prodi, il collega della Difesa Arturo Parisi,  l’altro vice presidente del Consiglio Francesco Rutelli. In compenso ci sono un po’ di sottosegretari a fare da tappezzeria istituzionale. Proseguendo la panoramica nei banchi della maggioranza, stessa sensazione di desolazione. Non c’è Piero Fassino. Né gli altri leader dell’Unione. Le poltrone della sinistra sono perlopiù vuote. Pochi diessini, pochi diellini, pochissima sinistra radicale. Tra i deputati si intuisce la figura longilinea del portavoce del governo Silvio Sircana. Ma anche la sua scelta di sedere nell’emiciclo e non a fianco a D’Alema è eloquente. 

Il presidente della Camera Fausto Bertinotti, prima di dare la parola al capo della diplomazia italiana, chiede un minuto di silenzio per ricordare Adjmal. Il clima solenne però è guastato da un cellulare che trilla dalle parti della Lega Nord. Ora finalmente parla D’Alema e annuncia che terrà un “intervento noioso”. Cosa che non aiuta a riempire le file vuote. Il ministro degli Esteri fa la cronistoria dei fatti, “molti dei quali – ammette – sono già noti”. Dice di aver agito in continuità “con la prassi consolidata già dai precedenti governi – italiani e occidentali – nei casi di rapimento”. Cita una statistica. Sono stati sedici, dall’inizio della missione Isaf in Afghanistan, i rapimenti di cittadini stranieri. Due dei quali sono finiti con l’uccisione dell’ostaggio. Nel caso di Daniele Mastrogiacomo, il titolare della Farnesina rivela che “sono stati attivati più canali per la trattativa. Uno, certo, era Emergency. Ma tra gli altri c’era anche il Sismi”. A proposito dei talebani liberati, il ministro sottolinea che “erano portavoce e non terroristi” e che comunque “è stato il governo afgano a valutare la pericolosità dei soggetti da rilasciare”. D’Alema poi non manca di incensare Gino Strada, riconoscendo “l’opera preziosa svolta dalla sua Ong” e assicurando che il governo italiano sta già facendo la sua parte perché il mediatore Rahmatullah Hanefi “sia processato con tutte le garanzie”.

Finisce l’intervento di D’Alema, comincia il dibattito. Nell’Unione prevale il low profile e i generali lasciano che parlino luogotenenti e soldati semplici. A destra i due leader presenti sono Pier Ferdinando Casini e Gianfranco Fini. Secondo programma, dei due dovrebbe intervenire solo il primo, mentre per Alleanza Nazionale è iscritto a parlare il capogruppo Ignazio La Russa. Prima che cominci l’intervento di D’Alema, però,  Fini si avvicina ai banchi dell’Udc e chiede all’alleato centrista la cortesia di astenersi perché lui, fa capire con la mimica, ha una cosa grossa da dire. E dopo circa quaranta minuti, arrivato il suo turno, Fini non delude le attese:  “Ci risulta che Karzai abbia acconsentito alla liberazione dei talebani – afferma l’ex vice premier – perchè Prodi ha vagheggiato l’ipotesi del ritiro dei nostri soldati”. D’Alema sobbalza dallo scranno. Il ministro degli Esteri accusa Fini di dire cose “false e offensive”. Gli tocca prendere di nuovo le difese del governo. Ed è ancora una volta da solo.