D’Alema scambia l’Italia di oggi con quella di Berlusconi

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D’Alema scambia l’Italia di oggi con quella di Berlusconi

06 Luglio 2007

L’intervista di Massimo D’Alema oggi sul Corriere della Sera è da non credere. L’analisi del ministro degli Esteri, squadernata con enfasi sull’intera pagina del quotidiano doveva sembrare sobria e pensosa invece è viziata da una contraddizione di fondo e da numerosi errori di valutazione.

La contraddizione balza agli occhi. Il ministro degli Esteri esordisce dicendo che “oggi l’Italia conta in Europa e nel mondo più di quanto contasse  un anno fa”. Ovvio che lo dica altrimenti dovrebbe ammettere che un anno del suo lavoro non è servito a nulla. Ma a parte che sarebbe facile dimostrare che non è così – dossier per dossier – , è lo stesso D’Alema a fornire gli argomenti per falsificare la sua tesi.

Nella seconda parte dell’intervista infatti , il ministro argomenta che la politica estera italiana è resa fragile e inconsistente dall’instabilità delle coalizioni che a sua volta produce l’imprevedibilità delle scelte di fondo e il rischio di marginalizzazione dell’Italia sulla scena globale. “La Francia con Sarkozy garantisce la politica estera di quel paese per cinque anni. Esiste qualcosa di paragonabile in Italia?”.

La risposta è: oggi non esiste ma è esistito appena ieri. Il governo Berlusconi è stato esattamente questo, cinque anni di stabilità e di coerenza nelle scelte di politica estera. Dire quindi che dopo un anno di governo Prodi, che era  instabile fin dai primi giorni di vita e oggi è già nella sua fase conclusiva, l’Italia conti più di allora sulla scena internazionale è più che una contraddizione. E’ un’imbarazzante svista logica.

La politica estera è stato uno degli elementi di massima condivisione nella precedente legislatura, mentre in questa il governo Prodi bis costituisce l’ammissione formale del fatto che sul quel fronte non esiste maggioranza parlamentare. E’ difficile sostenere che in tali condizioni l’Italia possa essere cresciuta nella considerazione planetaria. Lo stesso D’Alema, in un momento di maggiore lucidità, ammetterebbe che qualcosa non torna nel suo ragionamento. Forse che i ricatti di Rifondazione, Verdi e Comunisti italiani rendono certi e condivisi gli indirizzi di politica estera del governo? Il ministro sa che non è così: non può ammetterlo ma non dovrebbe neppure sfidare l’evidenza.

Quanto agli errori di valutazione uno basta per tutti. Anche in questa meditata e ampia intervista D’Alema nostra di non comprendere la situazione medio-orientale. Egli non ha tratto alcun insegnamento dalla guerra civile palestinese e dal colpo di Stato a Gaza e continua a leggere gli eventi secondo uno schema che definire ideologico è già generoso, sembra piuttosto un disco rotto.

Dice D’Alema: “La guerra civile non serve ai palestinesi e spingerli in questa direzione è un errore anche per la sicurezza dei palestinesi”. Ora, mentre la prima affermazione è di disarmante banalità, ( certo che non gli serve, si stanno sterminando a vicenda!), la seconda è incomprensibile. Chi è, secondo D’Alema, che li sta spingendo in questa direzione? E’ una domanda sincera anche se temiamo che la risposta non ci piacerebbe affatto.

Eppoi ecco di nuovo il vecchio schema: come si risolve la situazione? D’Alema risponde: “Va allentata la morsa dell’occupazione e della colonizzazione”. Proprio così: la morsa dell’occupazione della colonizzazione, un linguaggio da sezione del Pci anni ’70 per dire che la colpa è anche questa volta di Israele. Ma D’Alema si ricorda che da Gaza gli israeliani sono usciti da tempo e unilateralmente? E che quell’Abu Mazen che chiede ripetutamente di sostenere è vivo solo perché sta in Cisgiordania dove la guerra civile non è arrivata anche grazie alla presenza dell’esercito israeliano?

Ovviamente se ne ricorda. Ma i fatti hanno poco potere quando si sceglie la strada della propaganda.

Basta leggere le poche righe che D’Alema riserva ai rapporti tra Italia e Stati Uniti:  sono rapporti speciali, leali, gli americani apprezzano il ruolo dell’Italia, ecc…
Peccato che proprio il giorno prima, in occasione della festa per il 4 luglio, l’ambasciatore americano Spogli avesse fatto intendere l’esatto contrario. D’Alema era presente ma deve aver fatto finta di non sentire.

La morale dell’intervista e in fondo anche il tema autoassolutorio per le difficoltà della sua missione è che “in Italia mancano grandi scelte bipartisan”. Ciò che è anche condivisibile in un certo senso. Se centro sinistra e sinistra radicale si mettessero d’accordo D’Alema avrebbe vita più facile.