Dalla roulette della Puglia al black jack del Lazio: il Casinò di Casini
12 Marzo 2010
Pieferdinando Casini e il suo partito stanno attraversando lo scenario delle regionali col passo di un improvvisato giocatore del Casinò che salta dal tavolo della roulette a quello del black jack. La roulette è il "laboratorio" pugliese costruito con D’Alema e poi demolito da Vendola, il black jack è il Lazio dove il leader centrista prova a rimettersi in gioco per adesso e per il "dopo", approfittando dell’impasse del Pdl alle prese col rebus liste per la provincia di Roma. Ma come di solito accade, chi gioca così rischia di uscire dal Casinò coi debiti in tasca.
La roulette pugliese. Il "laboratorio" rappresentava il potenziale banco di prova dell’alleanza con il centrosinistra che nell’idea casiniana avrebbe dovuto essere funzionale al suo disegno: battere il Cav. e rimettere sul mercato il consenso dell’elettorato berlusconiano presentandosi come nuovo leader. Peccato che il suo disegno pugliese si sia scontrato con le mire di D’Alema intenzionato da un lato, ad assoggettare al Pd Vendola e il suo coté, dall’altro a ridimensionare le ambizioni del leader Udc. Tra i due si è infilato con una buona dose di abilità e carisma Nichi Vendola che ha rotto l’incantesimo, costringendo il lider maximo a guardare solo a sinistra e Casini ad accontentarsi di un ruolo marginale in quello che avrebbe dovuto essere il principale scenario di prova per il suo futuro politico.
Incassata la sconfitta alla roulette pugliese, il segretario centrista ha tentato di contenere i danni di una campagna elettorale che da quel momento in poi non gli offriva più uno scenario strategico. Ecco che al sud ha cercato di chiudere accordi con il centrodestra assicurandosi posizioni di potere negli equilibri dei futuri governi regionali e al Nord ha siglato l’intesa con la Bresso in chiave anti-Lega.
Ma accade un evento imprevisto che Casini intuisce come l’occasione giusta per riprendere la tessitura del suo disegno di prospettiva: nel Lazio la lista del Pdl per la provincia di Roma non viene ammessa alla competizione elettorale dopo i pronunciamenti del Tar, della Corte di Appello. Nel Lazio il segretario centrista ha già fatto accordi col Pdl sul nome di Renata Polverini candidato presidente, ma adesso la novità provoca un effetto, in attesa che sulla vicenda della liste Pdl dica l’ultima parola il Consiglio di Stato (domani la decisione): le opzioni per l’elettorato di centrodestra, almeno ad ora, si riducono alla lista Polverini, a quella Udc e alla lista della Destra. E’ da qui che Casini riparte con l’idea originaria: preparare la successione al Cav. tentando da un lato di portare dalla sua parte i voti dell’elettorato pidiellino nella regione simbolo della tradizione cristiana dove, ora più che mai, la competizione elettorale diventa strategica; dall’altro approfittando dell’esclusione temporanea della lista Pdl per depotenziare la leadership romana che il Cav. si era conquistato con la vittoria di Alemanno nella battaglia per il Campidoglio. E in che modo? L’unico possibile è distinguersi su tutto da Berlusconi. E’ questo il cambio di passo che da una manciata di giorni a questa parte Casini ha messo a regime, nelle dichiarazioni sil Pdl considerato "incapace" di presentare le liste e nella nuova linea adottata in Parlamento.
E’ la cronaca di questi giorni ad offrire più di un indizio sul nuovo disegno centrista. Sono almeno quattro le mosse di Casini finalizzate a picconare il governo e il Pdl.
La prima: il giorno dopo la conferenza stampa dove Berlusconi denuncia il tentativo degli avversari politici di vincere a tavolino e quello di certi magistrati integralisti del formalismo, di tenere fuori dalla competizione elettorale le liste del Pdl, Casini bacchetta il Cav. dicendo che “sbaglia a sovvertire la realtà”; meglio se fa “il mea culpa e se la prende con quelli del Pdl che hanno sbagliato a presentare le liste”. La seconda mossa è la posizione dei centristi sul decreto interpretativo dei criteri di ammissione delle liste. A Montecitorio in commissione Affari Costituzionali il gruppo Udc ha espresso parere contrario alla relazione della maggioranza sollevando dubbi di costituzionalità sul provvedimento definito non solo “irragionevole” ma perfino “inutile” perché – dice Mantini – si applica “ai procedimenti in corso, mentre le fasi di ammissione delle liste sono chiuse”. L’affondo è anche sulla "forzatura" nel merito e nel metodo, che il leader Udc intesta al premier stigmatizzando il fatto di aver spinto in questa direzione anche il capo dello Stato.
Molto più di un paradosso l’atteggiamento centrista, osservano dal Pdl, perché difendere il diritto di voto in una situazione come quella creatasi nel Lazio dovrebbe essere un principio sacrosanto che vale sempre e vale per tutti. In questo caso, invece, nasconde un “maldestro tentativo di strumentalizzazione”, dal momento che l’Udc dovrebbe avere tutto l’intreresse ad evitare che che le sfida si decida a tavolino e non nelle urne e che il diritto degli elettori ad esprimere il proprio voto venga garantito e tutelato.
La terza mossa sta nel no dei senatori Udc sul legittimo impedimento che da ieri è legge. Eppure solo poche settimane fa alla Camera Casini e i suoi si erano astenuti sullo stesso testo. Non solo: l’intervento in Aula del senatore Udc D’Alia (scandito dagli applausi di Pd e Idv) segnala qualcosa che va ben oltre la critica, legittima, al provvedimento in sè.
La quarta mossa, infine ,è il tentativo di aprire una competizione diretta tra le liste che sostengono Renata Polverini nella quale chi prenderà più voti acquisirà un "peso" politico che in caso di vittoria avrà ripercussioni dirette sul governo della regione e, nell’ottica centrista, servirà nella scalata alla leadership del Cav. alla quale Casini lavora ormai da tempo. E non da solo. L’asse con Fini (sempre più critico verso il Pdl), in una prospettiva di lungo termine potrebbe rappresentare una condizione propizia, specie se dopo il voto di marzo si dovesse concretizzare l’ipotesi che circola ormai da mesi nei palazzi della politica: il gruppo parlamentare autonomo dei finiani. Del resto, per entrambi, il comune denominatore della tattica sta nell’obiettivo: decretare la fine del berlusconismo e con esso quella dell’attuale sistema bipolare. Eppure tra i due non mancano punti di distanza. Casini pensa al suo partito come a un fortino dove raccogliere e custodire l’intero elettorato cattolico, anche se proprio nel Lazio i suoi continui distinguo rischiano di provocare l’effetto contrario nel variegato mondo cattolico e in particolare Oltretevere dove si teme che l’atteggiamento dell’Udc finisca per avvantaggiare la Bonino nella corsa alla presidenza della Regione. Fini, invece, negli ultimi anni ha marcato la distanza dal Cav. in particolare sui temi della laicità sconfinando talvolta in posizioni laiciste che nell’ipotesi di un rassemblement tra finiani e centristi mal si coniugano con i valori cattolici di cui Casini si considera interprete autentico. Vedremo se sarà questa .la strategia di lungo periodo.
Nell’immediato, se il leader centrista ricalibra il suo disegno sulla sfida nel Lazio, il Cav. non sta a guardare. E il fatto che abbia deciso di spendersi in prima persona in questa battaglia sulla quale chiamare l’elettorato a una grande manifestazione nazionale, sul piano politico rappresenta una contromossa, da un lato per stoppare sul nascere la tattica centrista, dall’altro per affrancare la candidata del Pdl dall’influenza finiana.
Insomma, come tutti i piani pensati per strappare la leadership a Berlusconi, anche quello di Casini potrebbe fare la fine di un sufflè riuscito male.