Dalla Somalia alla Cambogia: i tribunali dell’Onu sono tutti un fallimento

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Dalla Somalia alla Cambogia: i tribunali dell’Onu sono tutti un fallimento

30 Agosto 2008

Viviamo un momento difficile, bisogna evitare gli sprechi e trarre il meglio dalle risorse disponibili. Sarebbe utile farlo non solo riorganizzando le imprese, le attività e i servizi pubblici nazionali, ma anche valutando l’opportunità di continuare a sostenere costose iniziative in ambito internazionale, per di più di dubbia efficacia. 

Non va certo in questa direzione la decisione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite – di cui l’Italia fa parte in qualità di membro non permanente – che il 19 agosto ha deciso all’unanimità di rinnovare il mandato della Amisom, la missione dell’Unione Africana in Somalia, iniziata nell’aprile del 2007. La risoluzione contiene la richiesta di fornire alla Amisom risorse finanziarie, personale ed equipaggiamento. Ovviamente dovrebbe pensarci l’Unione Africana, che a sua volta però chiede aiuto, come già in passato, all’ONU e all’Unione Europea. Nonostante i contributi internazionali, tuttavia, delle 8.000 unità promesse lo scorso anno da cinque stati africani, finora ne sono giunte in Somalia meno di un terzo e la loro presenza inoltre è praticamente irrilevante: senza le truppe governative e soprattutto senza quelle etiopi accorse in loro aiuto alla fine del 2006, le Corti Islamiche e le loro milizie si sarebbero già riprese la maggior parte del paese. Forse sarebbe stato meglio prenderne atto e sospendere la missione piuttosto che rinnovarla e rifinanziarla. 

Pochi giorni prima il Consiglio di Sicurezza ONU aveva votato un’altra risoluzione discutibile, benché allo stato delle cose forse necessaria: quella di estendere di un anno il mandato del Tpir, il Tribunale penale internazionale per il Rwanda, istituito dalle Nazioni Unite per giudicare i principali responsabili del genocidio del 1994, l’anno in cui l’etnia Hutu ha tentato di sterminare quella Tutsi rendendosi responsabile, secondo le stime governative, del massacro di 937.000 persone in soli 100 giorni. Costituito nel 1995, il Tpir è operativo con sede ad Arusha, Tanzania, dal 1997: da allora ha emesso meno di 40 sentenze. Tenuto conto che costa circa 100 milioni di dollari all’anno, non si può considerare un modello di efficienza. Intanto, però, oltre 120.000 detenuti erano in attesa di giudizio nelle carceri rwandesi. Alla fine, un terzo circa di loro sono stati scarcerati ipotizzando che avessero comunque trascorso in prigione più o meno il numero di anni ai quali sarebbero stati condannati, se processati; i rimanenti vengono man mano giudicati dai tribunali gacaca, istituzioni create apposta qualche anno fa e che, nelle intenzioni, riproducono i tribunali tradizionali di villaggio: il problema maggiore è che sono stati affidati a persone prive di preparazione e competenza che non garantiscono equità e giustizia. 

I tribunali speciali, in effetti, sono uno dei punti dolenti delle strategie ONU per riportare la pace nei propri stati membri. Il Tpir ha lavorato lentamente, ma almeno è entrato in funzione pochi anni dopo la tragica primavera del 1994. Per istituire quello destinato a giudicare i khmer rossi cambogiani, invece, ci sono voluti addirittura quasi 30 anni. Per l’esattezza il genocidio perpetrato dal regime di Pol Pot in Cambogia si è verificato tra il 1975 e il 1979, provocando la morte di circa un terzo della popolazione. Ma la sua creazione è stata approvata dall’Assemblea generale dell’ONU soltanto nel maggio del 2003, l’anno successivo il Parlamento cambogiano ne ha approvato a sua volta la costituzione; poi sono occorsi tre anni perché l’organismo divenisse operativo. Nell’agosto del 2006 hanno prestato giuramento i 17 giudici cambogiani e i 12 stranieri che lo compongono e finalmente, trascorsi altri 12 mesi, il Tribunale ha compiuto i suoi primi atti formali, incriminando cinque presunti colpevoli. Lo scorso 13 agosto è stata confermata l’incriminazione di uno di essi, Kaing Khek Lev, meglio noto con il nome di battaglia ‘Duch’. Sotto Pol Pot, Duch ha diretto la prigione di sicurezza S-21, chiamata anche Tuol Sleng, la “collina degli alberi velenosi”, dove si ritiene che siano state incarcerate da 15.000 a 17.000 persone. Dalle testimonianze e dai documenti disponibili risulta che ne uscirono vive non più di 14 persone. Certo non giova all’efficienza del tribunale, e tanto meno alla sua imparzialità, il fatto che dal 1985 in Cambogia l’esecutivo sia guidato da un ex khmer rosso, Hun Sen. Sta di fatto che i vertici khmer finora sono rimasti impuniti: quasi tutti, ormai anziani, vivono e si spengono per cause naturali, nelle loro case e circondati dai loro discendenti. Nel 2006 è morto all’età di 80 anni uno degli unici due finiti in carcere, Ta Mok, ex capo di stato maggiore, all’epoca soprannominato il ‘macellaio’. Il 15 aprile del 1998, senza aver scontato neanche un giorno di prigione, era deceduto Saloth Sar, il Fratello Numero 1, alias Pol Pot. 

Anche il Tribunale speciale per la Sierra Leone si vede sottrarre gli imputati dalla morte. Ha ricevuto dalle Nazioni Unite l’incarico di giudicare i crimini commessi durante la guerra civile del 1991-2001 e riceve contributi finanziari tra l’altro dall’Unione Europea. Nato nel 2002, non ha fatto in tempo a giudicare due dei più importanti protagonisti del conflitto: Foday Sankoh, capo del Ruf, il Fronte unito rivoluzionario, e il suo braccio destro, Sam Bockarie, detto Mosquito, morti entrambi nel 2003, il primo di malattia, in carcere, il secondo durante l’arresto. Gli va però riconosciuto il merito di essere il primo tribunale ad aver emesso una sentenza di condanna – nel 2007, contro tre ex capi del Consiglio rivoluzionario delle forze armate – per reclutamento e impiego di bambini soldato e per matrimonio forzato. Inoltre ha ottenuto la consegna di Charles Taylor, ex presidente della Liberia, al quale nel 2003, in cambio dell’esilio spontaneo in Nigeria, era stata promessa l’immunità per i reati commessi in patria, ma non per quelli commessi in Sierra Leone sostenendo il Ruf: gli sono contestati 17 capi di reato in materia di crimini contro l’umanità e crimini di guerra, inclusi omicidio, mutilazione, stupro, schiavitù sessuale e reclutamento di bambini soldato.