Dallas, Obama e l’illusione della America post-razziale
09 Luglio 2016
Nel 2008 Barack Obama vinse le elezioni riuscendo a presentarsi come il primo presidente “post-razziale” della storia degli Stati Uniti, non troppo nero per i bianchi e non troppo bianco per i neri. Sembrava che il lungo cammino degli USA verso l’integrazione razziale si fosse concluso, superando decenni di ingiuste discriminazioni.
Un messaggio che il nuovo presidente volle racchiudere nel simbolico viaggio in Ghana di poco successivo, quasi un “ritorno a casa”, nella convinzione che Accra e l’Africa rappresentassero il futuro, il ventunesimo secolo. Ma le immagini di terrore che arrivano da Dallas, l’agguato ai poliziotti, le cinque vittime e gli altri agenti feriti ieri chiudono il cerchio, riportando tragicamente Obama all’inizio del suo percorso politico ed esistenziale.
Precisamente quando l’allora candidato democratico fu costretto a prendere rapidamente le distanze dagli incendiari sermoni di un parroco suo mentore, un po’ troppo estremista per farne un campione dell’elettorato nero. Obama, che doveva presentarsi come un’alternativa a politici come il reverendo Jackson, riuscì anche ad allontanare altre accuse. Rimestando nel suo passato, gli oppositori avevano trovato amicizie sospette e cattivi maestri del giovane Barack, poeti arrabbiati e intellettuali attratti dal potere nero, da una idea di separatezza, integralismo e suprematismo che ha contraddistinto per decenni spezzoni del movimento afroamericano, magari in chiave comunista.
Può sembrare paradossale ma è questo il background della strage di Dallas: Micah Johnson, il cecchino che ha sparato sugli agenti – sotto la naja per sette anni e reduce dell’Afghanistan – viene ritratto in una foto che gira su internet mentre stringe il pugno chiuso, in un eloquente saluto del “potere nero”.
Qualche ora fa il sedicente gruppo Black Power Political Organization, 300 fan su Facebook, ha rivendicato l’attacco, una vendetta contro i poliziotti violenti che negli USA, dall’inizio del 2016, hanno già ucciso in scontri a fuoco più di centocinquanta persone di colore. Su internet la BPPO invita esplicitamente ad armarsi e a sparare contro i “cops”, come ha fatto Johnson. Prima di essere ucciso da un robot telecomandato delle forze speciali, parlando con i negoziatori, il cecchino aveva detto di “voler uccidere poliziotti bianchi”. Secondo le autorità Johnson ha agito da solo.
Ieri nelle manifestazioni che si sono svolte a Dallas c’erano i militanti di gruppi estremisti e nostalgici delle Pantere Nere, mentre nelle concitate ore della strage ha fatto scalpore l’immagine di un uomo, armato di fucile, che ha spopolato su Twitter, costringendo il tizio della foto a recarsi dalle autorità per consegnare l’arma, non prima di aver spiegato che in Texas “è un diritto girare armati”. L’uomo è stato rilasciato, non è collegato alla strage.
Sono passati quasi dieci anni dalla vittoria alle presidenziali di Obama e insieme al multiculturalismo sembra tramontare anche la visione di una America post-razziale, quella esaltata dal presidente a colpi di “Yes we can”, mentre le ombre di un passato scomodo riemergono nella violenza delle nostre società sempre più disintegrate, sempre più stretta e prigioniera di terrorismi interni ed esterni quella americana.
“È una guerra”, ha scritto un ex senatore repubblicano su Twitter prima di ripensarci e cancellare il post, rivolto proprio a Obama. Ma è vero, negli USA sembra esserci una guerra a bassa intensità e in fondo Obama non ha tutti i torti a denunciare i guasti di una società sempre più armata e violenta; se solo il presidente uscente capisse che il problema non sono tanto le armi ma chi le maneggia per qualche furore ideologico.