Dall’economia alla politica estera: il cattivo investimento chiamato Obama
06 Novembre 2010
E’ andata come era prevedibile e tutti al mondo lo hanno ammesso. Solo in Italia (e non è una novità) si nota qualche rigurgito di disinformazione manipolatoria, come in certi titoli di giornali obamisti-a-prescindere: “I repubblicani si prendono la Camera, non il Senato” o “Obama salva il Senato”. Sembra di sentire Fassino il giorno della vittoria del PdL alle ultime elezioni europee: “Berlusconi ha perso perché ha avuto meno voti di quanti ne avrebbe voluti”.
Il tracollo democratico era prevedibile perché nell’ultimo anno e mezzo il tasso di approvazione nei riguardi del Presidente americano era sceso dal 63% al 45%, mentre quello di disapprovazione era aumentato dal 20% al 50%. Che il partito di governo perda in media 20 seggi su 435 alla Camera e 3 o 4 al Senato in occasione delle elezioni di metà mandato è normale, ma stavolta la batosta ha assunto proporzioni notevoli. Infatti, quale esito delle elezioni di mid-term, i Repubblicani si sono ripresi la Camera dei rappresentanti (sono saliti da 178 a 244, mentre i democratici sono scesi da 255 seggi a 191) e si sono rafforzati al Senato guadagnando 6 seggi. Anche il seggio senatoriale dell’Illinois, che fu di Obama stesso, ora è di un repubblicano. Se i Repubblicani non hanno conquistato, per un paio di seggi, anche il Senato è solo perché i seggi da rinnovare non erano tutti ma soltanto un terzo dei 100 totali (curioso, che la Superpotenza abbia 100 senatori e l’Italia ne abbia ben 315, oltre a quelli “a vita”). Ora Barack Obama è una “anatra zoppa” e il partito dell’elefante potrà approvare o bloccare qualsiasi legge, rendendo praticamente impossibile la concretizzazione dell’agenda presidenziale.
La situazione globale non è certo favorevole, eppure Barack ci ha messo del suo, per peggiorarla. In economia Obama non ha un piano serio per ridurre il deficit, salito a 1.300 miliardi di dollari. Il PIL non cresce abbastanza per contrastare la disoccupazione, che oggi sfiora il 10% (è del 20% nel caso dei giovani fra i 18 e i 29 anni), il doppio di prima che la crisi iniziasse, tre punti in più rispetto all’inizio del mandato di Obama.
Nel settore della sanità il Presidente ha voluto a tutti i costi una riforma sanitaria impopolare, e per giunta l’ha voluta prima che la crisi economica finisse. Ancora una volta, solo in Italia alcuni media compiacenti hanno tentato di far passare la riforma sanitaria obamiana come la “svolta epocale che ha finalmente dato l’assistenza sanitaria a 30 milioni di poveracci che prima non ce l’avevano”. In realtà la riforma consiste nell’obbligare quei 30 milioni di Americani (in gran parte giovani e sani che non avevano intenzione né di ammalarsi né di pagare sovrapprezzi) a sottoscrivere un’assicurazione sulla salute. Chi non lo farà, pagherà una multa. Le compagnie assicurative ringraziano, la maggioranza degli Americani no, anzi bollano il provvedimento come incostituzionale, visto che la Costituzione non prevede che i cittadini siano obbligati a sottoscrivere un’assicurazione contro la loro volontà. Le riforme sociali non sono nuove negli USA, basti pensare al sistema pensionistico creato nel 1935 o all’assistenza sanitaria per gli anziani adottata nel 1965, ma in quelle occasioni il sostegno fu bipartisan, mentre la riforma di Obama non ha raccolto il voto favorevole di neanche un singolo deputato repubblicano. Ora John Boehner, il nuovo speaker repubblicano della Camera che sostituirà la democratica Nancy Pelosi, non solo renderà la vita difficile a quella riforma sanitaria, ma farà di tutto per abrogarla.
In politica estera Obama si è alienato le simpatie di milioni di elettori strizzando l’occhio all’Iran, alla Cina e alla Russia e voltando le spalle a Israele. Ha fatto infuriare Cechi e Polacchi cancellando un sistema di difesa antimissile da loro agognato e considerato come un’assicurazione sulla vita. In Afghanistan la guerra continua con l’impiego di decine di migliaia di soldati in più (cose da Premio Nobel per la pace) e in Iraq, dove Obama aveva promesso di porre fine al conflitto, ha in realtà finto di ritirare i soldati lasciandone sul posto cinquantamila.
Nel campo della politica interna e dell’ambiente le cose non vanno meglio. La vicenda delle dimissioni del generale McChrystal gli ha alienato le simpatie (peraltro non eccessive) dei militari e anche gli ecologisti lo guardano con sospetto dopo il disastro petrolifero del Golfo del Messico avvenuto una settimana dopo che Obama aveva autorizzato nuove trivellazioni. Né gli ha giovato (anzi) il movimento dei Tea Party, nato nel febbraio 2009, che lo dipinge come un socialisteggiante che intende boicottare il sistema delle libere imprese, aumentare le tasse e farsi beffe della Costituzione.
Due anni fa, in occasione dell’elezione di Obama, un attivista democratico disse “Abbiamo cambiato la guardia, ma nel 2010 dovremo guardare il cambio!”. E’ esattamente ciò che gli Americani hanno fatto: in base alle prime indicazioni, chi ha punito Obama sono stati soprattutto i giovani, le donne e i coloured, giunti alla conclusione che votare Obama nel 2008 è stato un cattivo investimento.