Dall’Eurosummit non arriveranno soluzioni ai problemi dell’Europa

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Dall’Eurosummit non arriveranno soluzioni ai problemi dell’Europa

26 Giugno 2012

Meno tre giorni al summit dei leader europei più carico di aspettative che l’attuale crisi fiscale dell’eurozona abbia prodotto da una paio d’anni a questa parte. Il 28 e il 29 Giugno, Giovedì e Venerdì prossimi, a Bruxelles si terrà il Consiglio europeo che, stando alle proluvie di dichiarazioni-soluzioni ogni giorno lanciate da burocrati europei ed eletti nazionali, dovrebbe salvare l’Eurozona dai suoi guai. Ma è davvero così? Guardando bene proprio no.

Il premier Monti, con la sponda della Francia di François Hollande, ha in più di un’occasione nei giorni scorsi rappresentato l’appuntamento del 28-29, come la prova delle prove per le leadership europea: “Abbiamo dieci giorni per salvare l’euro…”, e ancora “il 29 è in gioco l’Europa”, tanto per citare il premier al margine del G20 di Los Cabos in Messico.

Grandi speranze, guarnite da avvenimenti politici di rilevanza. E’ infatti vero che nelle ultime settimane di cose ne sono davvero accadute. In primis l’Europa ha assistito alla seconda tornata elettorale in Grecia che ha fatto segnare la vittoria del fronte pro-euro e la nascita di un governo gran-coalizionale conservator-socialista sotto la guida di Antonis Samaras, leader di Nuova Democrazia, il partito conservatore vincitore delle elezioni. Molti, a partire dal premier italiano, hanno tirato un sospiro di sollievo sapendo che ad Atene siede ormai un governo europeista (lo è a tal punto che Atene ha beffato la troika Bce-Fmi-Commissione europea, assumendo 70 mila nuovi dipendenti pubblici contravvenendo agli accordi presi in occasione delle negoziazioni per le tranche di aiuti europei). 

E’ stato poi il turno del terremoto bancario a Madrid. Dopo mesi di voci, indiscrezioni e smentite sulla reale solidità del sistema bancario iberico, il governo spagnolo di Mariano Rajoy ha infine ammesso d’aver un mega problema con i ‘bancos’. Ieri il ministro di Luis de Guindos, il ministro dell’economia del governo Rajoy, ha chiesto pubblicamente all’Ue più 60 mld di euro per ripatrimonializzare le banche iberiche, liberandole dalla tossicità delle ipoteche immobiliari accumulate con l’esplosione della bolla immobiliare in Spagna nel 2007-08. 

V’è stato poi il G20 in Messico, con le sue diatribe euro-statunitensi sull’origine della crisi – un pezzo del palcoscenico se lo è accaparrato il presidente della Commissione europea, Jose Manuel Barroso in versione David Sellers  – con il suo nulla di fatto sulla panacea di tutti i mali: la crescita economica. Insomma due settimane dense durante le quali sono emerse una finta soluzione (il governo greco filo-euro), l’ammissione di un problema (i guai delle banche iberiche) e una non soluzione (il G20).

Infine, l’incontro del 22 Giugno scorso a Roma, con il premier italiano Mario Monti a far da padrone di casa accando alla cancelliera tedesca Angela Merkel, il presidente francese François Hollande e il primo ministro spagnolo Mariano Rajoy. Un micro consesso dei ‘grandi d’Europa’ – solo per Prodotto interno lordo, si dica -, che ha prodotto un nebuloso richiamo a un piano di crescita pan-europeo da 130 mld di euro, circa l’1% del Pil della zona euro, per rilanciare l’Europa in piena doppia – recessione (dove li prenderanno, chissà, forse nuove tasse?) e un consenso sull’istituzione di una tassa alla Tobin sulle transazioni finanziarie. 

Quel che i ‘grandi quattro’ hanno saputo dire è rivelatore: annunciare tasse e nuova spesa pubblica europea. Sono scomparsi richiami al fiscal compact e alla proposta Monti, trapelata durante il G20, volta a voler far uso dei denari del fondo di stabilizzazione europeo, il Efsf, da Luglio ESM, per acquistare i titoli dei paesi maggiormente indebitati dell’Eurizona e che timide reazioni aveva incontrato a Bruxelles.

Tutto questo, mentre ieri dalla Germania giungevano due notizie degne di nota, originate dal Bundesfinanzministerium, il ministero delle finanze tedesco, retto da Wolfgang Schäuble.

La prima, data dal settimanale Der Spiegel, vorrebbe che vi fosse in circolazione uno studio di scenario, rimesso proprio al ministro delle finanze, sull’eventuale crollo dell’euro e i costi che la Germania  dovrebbe sopportare se fosse costretta a tornare al D-Mark, al marco tedesco. Risultato: disoccupazione al 9%, ovvero più di cinque milioni di disoccupati. 

Seconda notizia, lo stesso Schäuble si sarebbe detto disponibile all’indizione di un referendum per la revisione della Costituzione tedesca che consenta la cessione di competenze di politica economica verso l’Ue. 

A questo punto non resta che aspettare questo benedetto Consiglio europeo. Non è la prima volta che i leader europei giocano a spaventare gli europei per scodellargli nuove avocazioni di potere verso il centro europeo. E’ andata così al Consiglio Europeo dell’8-9 Dicembre scorso, quello in cui fu messo nero su bianco il Fiscal compact merkeliano, il quintessenziale strumento di controllo berlinese sulle politiche di bilancio delle economie a più alto debito e/o deficit della zona euro. Ma i leader europei paiono non aver ancora trovato il coraggio per affrontare i cogenti macro problemi che l’Europa ha oggi di fronte a sé: tre d’ordine politico e l’altro tecnico-monetario.

In primis, v’è a livello europeo un macro deficit democratico che riguarda la legittimazione dei burocrati che legiferano e spendono le risorse europee. Dunque un problema di responsabilità politica. Secondo problema: è finito il tempo del consenso per spesa pubblica. Il modello d’economia sociale di mercato, ormai se lo possono permettere solo gli scandinavi e i tedeschi e non è detto che lo possano fare ancora a lungo. Servono meno stato e meno tasse.

Terzo problema: il nodo demografico. Con le legislazioni di controllo delle nascite da decenni a pieno regime in gran parte dei paesi dell’Ue, questo continente è spacciato sul piano demografico. E continuare a spendere la carta immigratoria per ripianare il deficit di natalità delle popolazioni autoctone, non è – e non sarà – la panacea di tutti i mali, al netto, si dica, degli enormi costi identitari e politici di tale corso (la campagna ‘un corano in ogni focolare tedesco’ lanciata dagli islamici salafiti in Germania è utile esempio).

Infine, il problema tecnico-monetario: l’euro è una area monetaria non ottimale e che da ciò derivano i suoi guai. Non v’è nessuno che lo dica apertamente e che voglia apportare soluzioni a tale disequilibrio.

Sarebbe buona cosa che al prossimo Consiglio europeo del 28-29 Giugno, i leader europei discutessero di questi problemi, ma siamo certi non accadrà. Saremmo invece costretti a prendere atto, una volta ancora, che alzare le aspettative in occasione di questi summit, conduce le dirigenze Vecchio Continente a fare solo tonfi ancora più grandi. Nulla di più. E i mercati, ove è stato internazionalizzato il debito pubblico di molti paesi occidentali, non vi credono più. La negazione dei veri problemi dell’Europa è il vero male del nostro tempo.