Dall’India all’Indonesia non c’è pace per i cristiani

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Dall’India all’Indonesia non c’è pace per i cristiani

03 Febbraio 2011

In Indonesia la buona notizia sarebbe che i cristiani di Bogor, West Java, costretti a Natale a rinunciare alle funzioni religiose non disponendo di un locale per svolgerle, hanno infine ottenuto l’autorizzazione della Corte suprema a utilizzare l’edificio la cui costruzione è stata sospesa nel 2008 su pressione della Bogor Islamic Community Association.

Ma gli estremisti islamici, che li accusano di conversioni forzate, si sono opposti alla sentenza e, con il favore dell’amministrazione locale poco propensa a perseguire i casi di intolleranza religiosa, stanno facendo circolare un appello a tutti i musulmani affinché la domenica convergano sulla chiesa e impediscano la celebrazione della messa.

In Cina decine di milioni di cristiani praticano la fede di nascosto, in piccoli gruppi chiamati chiese domestiche, per evitare di essere perseguitati. Il 18 gennaio Wang Yi, il leader di una di queste chiese, è stato arrestato insieme a tre altri fedeli mentre all’aeroporto di Chedgu, stato di Sichuan, attendeva di partire per Hong Kong dove avrebbe partecipato a un convegno di cristiani evangelici. Rilasciato alcune ore dopo, ha tentato di raggiungere l’aeroporto, ma è stato ancora una volta fermato dagli agenti di polizia e riportato nella caserma in cui era già stato detenuto.

Brutte notizie giungono anche dall’Iran dove, a partire dal giorno di Natale, sono stati arrestati 70 fedeli, anch’essi membri di chiese domestiche, sottoposti poi a violenti interrogatori e a intimidazioni. L’agenzia di stampa AsiaNews riporta le dichiarazioni del governatore di Teheran, Morteza Tamadon, che il 14 gennaio annunciava imminenti, nuovi arresti: “i ‘missionari’ – così Tamadon chiama i cristiani – sono dei parassiti e hanno creato un movimento deviato e corrotto con l’appoggio della Gran Bretagna in nome del cristianesimo, ma il loro complotto è fallito”.

In India, come è noto, le violenze degli estremisti indù contro i cristiani sono incessanti. Le autorità degli stati in cui si concentrano le aggressioni sono a dir poco restii a perseguire i responsabili. È il caso dello stato di Orissa dal quale negli ultimi anni più di 50.000 cristiani sono fuggiti, impauriti dai diffusi sentimenti anticristiani e dall’impunità di solito garantita agli aggressori. Un esempio del clima di insicurezza in cui i fedeli sono costretti a vivere è l’arresto di due giovani cristiani, vittime di un ladro indù, avvenuto il 10 gennaio nel villaggio di Bodimunda. Il ladro, dopo aver strappato a uno dei due una medaglia d’oro raffigurante la Croce, ha iniziato a gridare accusando i ragazzi di aver tentato di convertirlo. La polizia accorsa ha arrestato senza indugio i giovani cristiani, fidandosi della versione dei fatti data dal ladro.

In Pakistan sono due donne cristiane di Lahore le ultime vittime dell’intolleranza religiosa. In seguito a false accuse di blasfemia mosse loro da alcuni parenti, il 16 gennaio sono state aggredite, percosse e umiliate da una folla di estremisti islamici che le hanno imbrattate, caricate su degli asini e portate in giro per le strade del loro quartiere. Da allora vivono nascoste in una località segreta. La causa scatenante della violenza è un contrasto familiare sull’educazione religiosa della figlia del fratello cristiano di una delle due donne, sposato a una musulmana.

Proprio in Pakistan, a Karachi, le donne del movimento Jamat-e-Islami hanno organizzato il 29 gennaio una marcia a sostegno della legge sulla blasfemia e il giorno successivo i fondamentalisti islamici hanno indetto una manifestazione nazionale, sempre in difesa della cosiddetta ‘legge nera’, minacciando altre iniziative nel caso venga condonata la pena capitale ad Asia Bibi, la donna cristiana in carcere da settimane e condannata a morte per blasfemia per la quale il mondo occidentale si è mobilitato chiedendone la grazia.

Il 24 gennaio nelle Filippine si è verificato l’episodio di violenza anticristiana più grave, come già riportato diffusamente da La Bussola Quotidiana. Il giornalista cattolico Gerry Ortega, noto per le sue campagne in difesa dei diritti umani combattute insieme a missionari ed esponenti delle comunità cristiane, è stato assassinato a Puerto Princesa, nell’isola di Parawan. Ultimamente si stava dedicando alla causa delle tribù indigene dell’isola la cui sopravvivenza è minacciata da progetti di sfruttamento minerario sconsiderati.
 

(tratto da La Bussola Quotidiana)