Datemi una legione per liberare la Libia

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Datemi una legione per liberare la Libia

11 Aprile 2011

Non sono bastate la No-Fly Zone e la "guerra dal cielo" per sconfiggere rapidamente Gheddafi, né, d’altra parte, la Risoluzione 1973 delle Nazioni Unite lo prevedeva. Mentre si prospetta una lunga guerra di posizione, secondo indiscrezioni filtrate nei giorni scorsi dagli ambienti della NATO, il segretario generale dell’Alleanza, Rasmussen, avrebbe avviato dei colloqui con gli Alleati per ipotizzare l’uso di una forza di interposizione militare terrestre, notizia smentita sabato scorso, quando da Bruxelles è arrivata la conferma di voler rispettare il mandato ONU senza dispiegare truppe sul terreno. Ad essere privilegiata resta la "soluzione politica" del conflitto, ma nel frattempo il Rais continua ad ammazzare i civili e si avvicina lentamente a Bengasi.

Ci sono tre ordini di problemi che allontanano la possibilità di un intervento terrestre. Il primo attiene al diritto internazionale e all’accezione di "guerra umanitaria". Il secondo riguarda gli effetti che una operazione del genere potrebbe avere sul resto del mondo arabo. Il terzo deriva dalla difficoltà di trovare qualcuno disponibile a combattere. Nel primo caso, il concetto di guerra umanitaria prevede che s’intervenga per evitare un eccidio di civili anche se questo obiettivo si scontra con il principio della intangibilità delle frontiere che è un diritto sancito dalle leggi internazionali: dobbiamo salvare i civili ma non possiamo intrometterci più di tanto nella vita di uno stato sovrano. Di solito le guerre umanitarie sono guerre "liberal", guerre dal cielo, che per la paura di sporcarsi le mani non hanno mai ottenuto grossi risultati, come avvenne in Somalia o nella ex Jugoslavia.

Nel secondo caso, dopo l’Iraq, i Paesi del mondo arabo e musulmano non aspettano altro che una nuova "invasione" per denunciare l’imperialismo dell’Occidente; gli stessi ribelli di Bengasi vivono in una contraddizione, avendo chiesto agli Alleati di non mandare truppe in loro aiuto fin dall’inizio della guerra, ma lamentandosi poi della scarsa efficacia e del "fuoco amico" degli attacchi condotti dalla NATO dal cielo. Nel terzo caso, sappiamo che sul terreno libico accanto agli insorti si muovono cellule della CIA, dell’M16, forze speciali americane, inglesi e francesi, ma evidentemente non bastano a sostenere l’esercito irregolare. Una variante, la preferita dal CNT, è di fornire armi ai ribelli e pare che il Qatar abbia già iniziato a farlo. Ma armare una nazione è sempre pericoloso quando non sai chi sono i tuoi interlocutori, tanto più che andrebbero addestrati e formati e sappiamo quanto tempo è servito in Iraq. I "volenterosi" non sono disposti a una operazione di terra, come ha fatto sapere venerdì scorso il ministro degli esteri inglese, esprimendo una posizione comune a Londra, Washington e Parigi.

Il vero problema della guerra in Libia, in realtà, è che il presidente Obama ha deciso di combatterla a intermittenza, partecipando alla prima fase del conflitto, ma tirandosi indietro sul più bello, nella speranza che gli alleati europei riuscissero a sbrigarsela da soli, in un mix di pressioni diplomatiche e bombe sulle postazioni militari di Gheddafi. Senza gli Stati Uniti, immaginare un intervento militare terrestre è molto difficile. Non tutti però la pensano come Obama. Il generale Carter Ham, l’uomo che ha guidato i Volenterosi prima di cedere lo scettro alla NATO, la settimana scorsa ha detto tra le righe che gli Usa dovrebbero considerare la possibilità di mandare delle truppe in aiuto dei ribelli anche se, "dal mio personale punto di vista questa non sarebbe probabilmente la circosta ideale, ancora una volta per la reazione che un intervento militare terrestre potrebbe avere nella regione". Il generale è stato cauto visto che il suo presidente continua a negare una soluzione del genere ed il segretario alla Difesa, Gates, ha spiegato che non accadrà mai almeno fino a quando lui resterà al suo posto.

Nella politica americana c’è solo una voce nel deserto pronta a schierare le truppe Usa contro quel che resta dell’esercito libico. Un uomo politico che, per la sua storia personale, le sue idee e questioni più pratiche legate alle lotte intestine nel partito repubblicano, vuol chiudere rapidamente la partita contro il Colonnello. Stiamo parlando del giovane senatore della Florida, Marco Rubio, fresco di nomina, che la settimana scorsa ha inviato una lettera aperta ai leader del GOP al Congresso, avanzando la proposta che il Senato degli Usa autorizzi il presidente Obama ad usare la forza in Libia, inviando un contingente in grado di abbattere la Jamaria. Rubio ha criticato la maggioranza del suo partito al Congresso, che ha cercato di mettere i bastoni tra le ruote al presidente fin dall’inizio del conflitto. Il senatore della Floridaa ha rimesso sul tavolo l’opzione del "regime change", una di quelle pratiche bushiane che danno il voltastomaco ai puristi del diritto internazionale.

Rubio ha origini cubane. Quand’era un ragazzino, è scappato dal castrismo insieme alla sua famiglia, quindi conosce bene il significato della parola dittatura. Per 40 anni Gheddafi ha vessato il suo popolo, terrorizzandolo. Ha seminato instabilità fra i Paesi confinanti alla Libia. Ha congiurato per assassinare capi di stato stranieri ed ha sostenuto il terrorismo internazionale, come la strage di Lockerbie, sui cieli della Scozia, in cui morirono 27o civili innocenti, di cui 189 americani. A differenza di Mubarak e Ben Alì, il Rais non si è fatto da parte una volta scoppiata la rivoluzione ed ha trascinato la Libia nella guerra civile. Fino a quando resterà al potere, ucciderà i suoi avversari senza farsi scrupolo di terrorizzare il suo popolo. Se la sua agonia politica dovesse prolungarsi oltre le aspettative, il Colonnello diventerà un modello da seguire per tutti gli altri regimi arabi rimasti in piedi dopo lo tsunami dei gelsomini.

Rubio si è spinto oltre, ricordando ai suoi colleghi di partito e all’incerto Obama il motivo per cui gli Usa non possono tirarsi indietro: "Resta il fatto che la nostra nazione non è come le altre," ha scritto nella lettera divulgata dal Weekly Standard, "gli Stati Uniti sono un Paese eccezionale e con una forza eccezionale. Ma questa forza gli viene ed è accompagnata da obblighi e responsabilità morali. Il mondo è un posto migliore quando l’America sceglie di guidarlo. Ed è questo che viene richiesto alla leadership americana, ora più che mai". Scomodare la teoria dell’eccezionalismo americano, della superiorità morale degli Usa che li costringe, in nome della religione laica della libertà, ad intervenire nelle vicende internazionali anche ponendosi un gradino sopra il diritto internazionale, può essere senz’altro un modo per guadagnare consenso, visto che il giovane Rubio ha l’ambizione di conquistarsi un posto di primo piano nell’establishment del GOP. Ma questo richiamo all’America come un winthropiano "luogo di compassione", da esportare ovunque ce ne sia bisogno, è esattamente quello di cui avremmo bisogno per sconfiggere Gheddafi, al di là delle rivalità tra le potenze occidentali, i caveat della NATO e dell’ONU, gli alchimisti della diplomazia.

Nell’aprile del 2009, Obama rispose a un giornalista durante un viaggio a Strasburgo: "Credo nell’eccezionalismo americano," disse, smussando subito dopo questa affermazione, "tanto quanto ho il sospetto che gli inglesi credano nell’eccezionalismo inglese ed i greci in quello greco". Era la formalizzazione della dottrina del multilateralismo che ha caratterizzato questa amministrazione democratica. Non certo quello spirito unilaterale che spinge Rubio a chiedere una legione per superare lo stallo della guerra in Libia ed abbattere il Rais. Da una guerra che si allunga senza soluzioni, insomma, in cui gli alleati utilizzano un numero di forze minimo ed insufficiente, combinato con la debolezza degli insorti, Rubio chiede di cambiare marcia passando ad una rapida azione di terra, preparandosi ad occupare il terreno finché sarà necessario, ed ad inventare un nuovo governo ricorrendo al "nation building". C’è lo spettro dell’Iraq, è vero, ma oggi sappiamo quali sono stati gli errori di allora e non è detto che debbano per forza ripetersi.