D’Avanzo, l’archivio Genchi e Berlusconi

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D’Avanzo, l’archivio Genchi e Berlusconi

26 Gennaio 2009

Se a Giuseppe D’Avanzo arrivasse la notizia che un terribile terremoto sta per abbattersi sull’Italia con il suo seguito di vittime e distruzione, il suo articolo su Repubblica comincerebbe così: “Attenzione potrebbe essere il pretesto per Berlusconi per dare un colpo di spugna ai suoi abusi edilizi”.

L’articolo di oggi con cui si impanca a difensore di Gioacchino Genghi, l’oscuro consulente telefonico di Luigi De Magistris  e di molti altri pubblici ministeri, suona più o meno nello stesso modo. Genghi è un vice-questore da anni in aspettativa sindacale (di un sindacato fondato da lui) che offre i suoi servigi informatici a qualsiasi pm in cerca di trame telefoniche. Così facendo però si è costruito un immenso archivio che riguarda, dice lo stesso D’Avanzo, un milione di contatti, 578 mila schede anagrafiche e 390 mila controlli eseguiti anche su presidenti del consiglio e vertici dei servizi. Nulla di illegale, dice D’Avanzo, a meno che Genghi non abbia usato le deleghe ricevute dai magistrati a scopi personali e inconfessabili. Ma questo, sottolinea il giornalista,  lo deciderà la procura di Roma.

Ma a D’Avanzo quella decisione non interessa, infatti può già anticipare che la denuncia di Berlusconi circa la gravità della vicenda è una “bufala”, strumentale a modificare la legge sulle intercettazioni e a togliere potere ai magistrati.

Il riflesso è così condizionato che D’Avanzo perde persino quel minimo di cautele che un giornalista, anche se obnubilato dalla sua ossessione, dovrebbe mantenere. Dice ad esempio: “Berlusconi è in malafede perché non ha emesso un fiato quando il suo nemico Prodi è stato indagato proprio alla luce di quelle analisi”. Gli sarebbe bastato prendere il suo stesso giornale, la Repubblica del 13 luglio 2007, dove sotto il titolo. “Prodi indagato a Catanzaro per abuso d’ufficio”, avrebbe trovato questo “fiato” berlusconiano: “Auguro di cuore a Romano Prodi di uscire presto con onore da questa situazione". Nessuno, dall’opposizione di allora maramaldeggiò sulla vicenda. Sentite cosa disse Renato Schifani: “Ho la sensazione che si tratti di un’inchiesta dai contorni un po’ confusi. In ogni caso non ne traggo alcun piacere o motivo di soddisfazione nei confronti dell’uomo Prodi. Mi auguro che il premier chiarisca, perché il Prodi politico vogliamo contrastarlo sul terreno della politica, in Parlamento, e non nelle aule di giustizia”. Scrive invece  D’Avanzo per testimoniare la malafede di chi oggi evoca lo scandalo e ieri taceva: “Quell’indagine poteva azzoppare il governo di centrosinistra e tutto faceva brodo”.

Altro punto: secondo D’Avanzo, Berlusconi oggi mente perché “non ha battuto ciglio quando si sono scoperti gli archivi illegali della Telecom dell’amico Tronchetti Provera, anche lì si raccoglievano abusivamente tabulati”. Ma qui è lo stesso D’Avanzo a fornire involontariamente il motivo del silenzio berlusconiano, quando, parlando della vicenda Genchi, spiega: “Decisivo è il rapporto tra il consulente e il pubblico ministero: è questo lo snodo”. Da un lato dunque c’è il sospetto di un rapporto distorto tra un consulente e un potere dello Stato, dall’altro c’è una vicenda maturata nell’ambito di una società privata, sulla quale difatti è già intervenuta l’autorità giudiziaria. Berlusconi fa bene ad occuparsi del primo caso, che contiene un difetto sistemico da correggere per via legislativa,  e a lasciare che del secondo si occupi la magistratura.

D’Avanzo conclude prevedendo “il can can spettacolare” che Berlusconi organizzerà nei prossimi giorni. Non si è accorto però che il can can lo sta già ballando lui e la musica la suona  Gioacchino Genchi. Seduto sulla pila dei suoi dossier, Genci allude e minaccia, fa capire di possedere segreti su tutto e tutti e continua ad accumulare dati e tabulati. Ma state tranquilli: non c’è nulla di illegale. Parola di D’Avanzo.