De Magistris ha rovinato il Pd che si era già rovinato da solo

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De Magistris ha rovinato il Pd che si era già rovinato da solo

De Magistris ha rovinato il Pd che si era già rovinato da solo

23 Maggio 2011

"Gigetto" De Magistris non si è limitato ad affossare il Partito democratico napoletano, crollato, al primo turno delle comunali, al 19 per cento dei voti (era al 34 per cento alle comunali del 2006, oltre il 37 alle politiche del 2008). In passato l’ex magistrato ha fatto ben altro: con l’inchiesta "Toghe sporche", nel 2007, ha rovesciato l’uomo forte del Pd in Basilicata, quell’architetto Filippo Bubbico, all’epoca diessino ma vecchio comunista, che era stato presidente della Regione e poi, da senatore, sottosegretario per lo sviluppo economico del secondo governo Prodi. Bubbico è stato accusato di far parte di una gilda composta da politici, magistrati, avvocati e imprenditori, tanto pericolosi da essere prosciolti da ogni accusa nel marzo del 2011.

Il vero colpo da maestro risale al 24 gennaio 2008, quando il ministro della giustizia Clemente Mastella fa cadere il governo Prodi, dopo essere uscito dalla maggioranza e aver votato "no" alla fiducia. Il motivo è semplice: sua moglie, Sandra Leonardo, e Clemente stesso, erano finiti nella rete di "Why not", un’altra delle inchieste di De Magistris su fantomatiche massonerie in seguito notevolmente ridimensionata. L’inchiesta gettò una notevole dose di fango su Prodi (il procedimento nei confronti dell’ex premier è stato archiviato nel 2009), mentre per Mastella, nel novembre del 2010 il Senato ha sollevato il conflitto di attribuzione con la procura napoletana, e il 19 maggio scorso la Corte costituzionale ha respinto per ‘manifesta inammissibilità’ i rilievi del gip. "Non ho mai inveito contro la magistratura, perché si tratta di persone che in Calabria fanno un lavoro difficile e rischioso," ha detto una volta il fu piddino Agazio Loiero, "Però c’è una sparuta minoranza di pm che talvolta porta avanti inchieste immaginarie per fare carriera politica". 

Qualsiasi classe dirigente dotata di un minimo di buon senso o perlomeno di spirito di sopravvivenza avrebbe arginato l’ascesa dei magistrati in politica: quella del Pd non solo ci è andata a nozze, ma adesso saluta de Magistris neanche fosse San Gennaro, mentre l’ex magistrato tratta i Democrats come paria, negandogli l’apparentamento. Il responsabile per il mezzogiorno dei Democratici, Umberto Ranieri, gli ha organizzato un affollato happening al cinema Martos Metropolitan di Chiaia, nella Napoli-bene, quella berlusconiana, per l’investitura ufficiale da parte della borghesia dicono illuminata della città: "Il Pd nella sua unità appoggia Luigi De Magistris," l’annuncio di Ranieri, "non gli chiediamo nulla, né posti né posizioni di potere". Massimo D’Alema ha fatto il suo endorsement dalle pagine del Mattino. Il grande vecchio del riformismo di sinistra, Emanuele Macaluso, ha invitato a votare per l’ex magistrato "turandosi il naso". Giovanni Palladino ed Emilio di Marzo, due giovani consiglieri comunali del Pd napoletano, probabilmente verrebbero rieletti a Palazzo San Giacomo se a diventare sindaco fosse Lettieri (grazie alle complicate alchimie della legge elettorale), ma hanno preferito perdere preventivamente e  sacrificarsi sull’altare dell’ex magistrato.

Sembrerebbe che il Pd sia afflitto da una grave forma di autolesionismo politico. Probabilmente molti elettori moderati di sinistra non sarebbero andati a votare per De Magistris se l’apparato del partito, i big nazionali, non avessero concesso al loro ‘becchino’ il massimo dell’esposizione mediatica, una mobilitazione tale da spingere anche il vincitore delle notti sanremesi, Roberto Vecchioni, a fare una serenata al candidato "che piace". In realtà quelli del Pd non sono impazziti. Certo, la principale causa del patto con De Magistris è l’antiberlusconismo, il desiderio di veder sconfitto il Cav. a Napoli come a Milano. Ma il vero problema è che la constituency giustizialista non nasce con De Magistris quanto all’interno di quella grande illusione identitaria chiamata partito democratico. Nel 2008, il Pd di Veltroni preferì allearsi con l’IdV di Antonio di Pietro piuttosto che con la Sinistra Arcobaleno. Entrambi, riformisti e massimalisti, si sarebbero adeguati presto a Tonino. Al primo turno delle comunali di Napoli, Sinistra ecologia e Libertà ha appoggiato il Pd; al ballottaggio, Vendola ha fatto convergere il voto di SeL su De Magistris, che naturalmente ha rifiutato di apparentarsi anche con il presidente della Regione Puglia. 

Il fatto è che negli ultimi anni la sinistra ha dissipato, tra le tante altre cose, uno dei suoi valori, il garantismo. E’ stato un errore dalle proporzioni incalcolabili di cui adesso, a Napoli, la classe dirigente democratica realizza le conseguenze. E’ dall’89, da Mani Pulite ai "pacchetti sicurezza" di Amato e Fassino, che i democratici hanno ceduto alle sirene del legalitarismo, dimenticando che per loro al primo posto avrebbero dovuto esserci le battaglie per i diritti e la libertà. "In galera!" è diventato lo slogan più facile per conquistare il voto degli indignados, buttando a mare la tradizione dei Saraceni, dei Senese, dei Manconi e dei Boato, in cambio del dipietrismo anti-indulto e della tentazione autoritaria. E’ la sinistra che è cambiata, non è stato De Magistris a farla cambiare. Chissà se a Napoli il Pd si farà abbindolare dalle citazioni di "Gigetto" su Berlinguer… la storia, infatti, c’insegna che la "questione morale" non era  sinonimo di populismo politico-mediatico-giudiziario. Se mai, Berlinguer all’epoca ce l’aveva con il "porto delle nebbie", il potere giudiziario dietro cui si trincerava la classe dirigente democristiana. Non sappiamo se Berlinguer avrebbe mai votato per De Magistris. Quello che sappiamo è che il Pd nel corso degli anni è diventato un partito giustizialista, e che questa trasformazione lo ha portato alla sconfitta.