De Maistre, la potenza della visione di un giudice del nostro presente

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De Maistre, la potenza della visione di un giudice del nostro presente

De Maistre, la potenza della visione di un giudice del nostro presente

08 Aprile 2012

di A. B.

Ci sono delle “grandi verità” di fronte alle quali abbiamo “chiuso gli occhi”. Ed è per questo che l’Europa è “colpevole”, per questo “soffre”, espia pagando il prezzo della propria cecità. Sembra un’analisi del nostro tempo, ma in realtà si tratta della conclusione a cui Joseph de Maistre, nel 1809, affidava il senso del suo Saggio sul principio generatore delle costituzioni politiche. Il tempo è trascorso, ma la potenza della visione di de Maistre resta ancora intatta.

Ci sono spiriti il cui intendimento attraversa la storia come una folgore, capace di penetrare nei suoi segreti e rivelarne il senso profondo. Ed è proprio leggendo le pagine visionarie e acute di de Maistre che il lettore contemporaneo si rende conto di quanto sia vero che “l’accecamento è senza dubbio una punizione terribile”. In un passaggio penetrante del Saggio del 1809, Joseph de Maistre ricorda che “ogni istituzione falsa scrive molto”. Raramente qualcuno ha colto con tanto anticipo i caratteri del tempo che lo avrebbe seguito: l’ipergrafomania di leggi, regole, codici, formule, procedure che domina la nostra epoca. Nessun uomo è stato tanto assoggettato della scrittura normativa (o presunta tale) quanto quello contemporaneo. La burocratizzazione si manifesta essenzialmente nel mito della norma, da quella condominiale a quella statale, da quella nazionale a quella europea, per terminare con quella internazionale. Senza citare, poi, tutte le regole e i codici a cui ogni categoria sociale è asservita: rete impossibile da conoscere, labirinto in cui non è possibile districarsi, trappola in cui ognuno di noi è inevitabilmente prigioniero.

De Maistre offre anche una chiave di lettura per interpretare questa mania della scrittura normativa: un’istituzione che “sente la propria debolezza” prova ad “appoggiarsi” alle leggi scritte, che dovrebbero sopperire alla mancanza di spirito che ormai la dilania nel profondo. Nessuna diagnosi potrebbe essere più adatta alla nostra società: tanto più l’Occidente perde senso, tanto più si infittisce la rete di prescrizioni con cui ogni aspetto della vita viene regolato (o si presume debba essere regolato). In breve: l’etica sprofonda, ma la legge trionfa, provando a colmare le lacune che inquietano l’uomo contemporaneo. Una strategia destinata a fallire, perché nessun regolamento restituisce agli uomini il buon senso, il radicamento etico di cui sentono il bisogno.

La sostituzione dell’etica con la regolamentazione giuridica ha un’origine rintracciabile: essa ha inizio con l’idea secondo la quale le vecchie forme morali (quelle sulle quali la struttura delle società occidentali si è fondata per secoli) sarebbero divenute insostenibili. L’epoca moderna è inaugurata dal discredito nei confronti della tradizione, ma sono i Lumi che ne portano a compimento il progetto. Il mito della riforma dell’uomo, del suo progresso antropologico, contravviene a quella che de Maistre chiamava giustamente “avversione naturale di tutti gli spiriti buoni nei confronti delle innovazioni”. Dietro il desiderio di innovare si nasconde in gran parte l’arroganza di chi si crede padrone della storia, signore del progresso, titano del mondo.

Non si tratta, naturalmente, di condannare il cambiamento, che è naturale nella condizione umana. Il mito della “riforma”, tuttavia, contiene in sé qualcosa di più del semplice mutamento: implica l’idea che la ragione possa dominare, attraverso una regolamentazione normativa, la trasformazione della storia (o, più radicalmente, dell’umanità). Il riformismo moderno è la tesi secondo la quale sarebbe possibile governare delle “innovazioni” a partire da “semplici teorie umane”. E dietro quest’ansia del mutamento, come de Maistre aveva visto perfettamente, si cela una sorta di “rabbia filosofica”, uno scontento e una furia in cui l’arroganza e il vuoto del senso si congiungono in modo inquietante. L’ansia di programmare in modo nuovo ogni ambito della vita, la vera tecnica regia dell’uomo moderno, si esprime quindi nella regolamentazione, nel mito dei “creatori, dei legislatori”. Il riformista è colui che vorrebbe portare la storia verso una tappa più avanzata, mandando al rogo il buon senso della tradizione.

La furia della riforma oggi è all’opera da molti lati: nel costruttivismo antropologico progressista e nel libertarismo economicista delle nuove destre, che in modo diverso intendono distruggere quel che resta del modello politico e spirituale europeo. I riformisti di oggi – come i giacobini di de Maistre – sono uomini che la “posterità guarderà con pietà e forse perfino con orrore”. Basta leggere certe cronache politiche per rendersene conto. A partire dal 1989 abbiamo assistito all’ultimo (certo, sono il termini cronologici) spettacolo messo in scena del riformismo progressista: lo svuotamento dei poteri nazionali, ai quali è stato sostituito un apparato burocratico senza sovranità e senza radicamento etico. Oggi ne vediamo le conseguenze, assistendo al devastante tentativo di ricostruire un equilibrio qualunque, dopo avere distrutto alla radice le istituzioni forgiate in secoli di storia.

E, ancora una volta, de Maistre ci viene in aiuto, ricordandoci che “per bruciare una città basta un bambino o un insensato”, ma per ricostruirla “ci vogliono degli architetti, dei materiali, degli operai, dei milioni, e soprattutto del tempo”. Non possiamo essere certi che l’Europa disponga ancora delle risorse spirituali per rialzarsi dalle ceneri dell’incendio appiccato da una schiera di insensati eccellenti, in cui sono compresi i nomi più alti dell’intelligenza (si fa per dire, ovviamente) europea. Come per i vecchi giacobini, tuttavia, anche per loro vale quel che de Maistre diceva nel 1809: “Gente miserabile”, convinta “che si possano costituire delle nazioni” usando “inchiostro” per fare riforme e scrivere nuove leggi.

Quel che ci manca, invece, è lo spirito, la forza antica e sovrana che permette alle norme di vivere e di prendere una forma e un senso profondo.Ma dove rintracciare lo spirito, se non in quello che l’Europa ha cancellato dalla sua storia, nel regno primigenio della religione? E anche su questo de Maistre è maestro, avendo ben visto che gli uomini contemporanei “hanno giurato a se stessi di guardare sempre a terra”, incapaci ormai di trovare ispirazione nel Cielo che li sovrasta. E così, nel tempo in cui gli uomini si sono spinti fino a un vero e proprio “odio personale” contro il proprio “Autore divino”, è molto difficile immaginare una rinascita spirituale. Non ci resta, forse, che rassegnarci a una caduta sempre più profonda, che neppure lo sguardo preveggente di un maestro indiscusso come Joseph de Maistre ha potuto prevenire.  

(Andrea Bellantone)