Debito pubblico: che strada seguire per disfarsi di un’eredità così pesante?
14 Ottobre 2009
Il debito pubblico sale e ad agosto tocca quota 1.757 miliardi di euro (lo 0,2% in più rispetto ai 1.754 miliardi di luglio scorso; il 5,7% in più rispetto ai 1.663 miliardi di fine 2008). Il dato contenuto nel supplemento finanza pubblica del Bollettino Statistico della Banca d’Italia, riguarda però l’indebitamento dello Stato in valore assoluto e non quello in percentuale del Pil, che è il dato valido ai fini del Patto di Stabilità e di Crescita (vincoli di Maastricht).
Sul fronte del rapporto l’Italia è cresciuta meno degli altri. Nell’ultimo biennio, infatti, l’aumento nella UE-27 è stato pari al 17,8%. Per l’Italia l’aumento è stato pari al 10,3%.
Non solo. Nella media europea circa la metà dell’aumento della crescita del rapporto è dovuto al disavanzo per fare fronte alla crisi (denari che i Governi hanno dovuto immettere direttamente nel settore finanziario, bancario ed industriale) e l’altra metà agli effetti negativi della recessione (quando il denominatore del rapporto debito/Pil è negativo il rapporto stesso cresce; a questo si aggiunge la diminuzione del gettito dovuto alla crescita negativa ed alla inelasticità delle imposte). In Italia invece (unica in Europa) la totalità dell’incremento del rapporto è imputabile solo agli effetti della crescita negativa. Questo significa che il nostro Paese, non solo è riuscito contenere la crescita della spesa primaria nel biennio, ma non ha dovuto iniettare riscorse aggiuntive nel sistema per salvare le banche o sostenere le imprese.
Ha contribuito positivamente che il nostro sistema bancario non sia stato colpito dal fenomeno dei titoli tossici e che il nostro Ministro Tremonti sia stato capace di tenere fermo il cordone della borsa, senza tuttavia lesinare risorse per sostenere le classi sociali più colpite (alzando al massimo il livello delle risorse disponibili per la cassa integrazione).
Nel 2008 si è riformata la Finanziaria e questo ha permesso di “mettere in sicurezza” i saldi di bilancio per il triennio successivo. Sul fronte del sostegno ai risparmiatori, alle banche ed alle imprese si è agito con indubbia efficacia tramite il sistema delle garanzie. Garanzie sui depositi bancari, disponibilità a prestare denaro per rafforzare il capitale delle banche nel caso ne avessero bisogno (Tremonti Bond), garanzie CDP e SACE per le PMI attraverso il sistema bancario, nuovi fondi di garanzie CDP per le opere pubbliche. Questi interventi hanno avuto il merito di agire sulle aspettative; meccanismi “conformi al mercato” non hanno richiesto interventi invasivi da parte della mano pubblica, come invece è avvenuto in molti altri paesi, soprattutto in quelli anglosassoni. Inoltre, poiché sono stati attivati in misura minore di quanto atteso, hanno pesato poco sul debito pubblico.
Sul fronte degli stimoli alla domanda si è utilizzata, e molto più si utilizzerà nel futuro, l’ampio stock di risparmio postale attraverso la riforma della Cassa depositi e prestiti. Nel Piano industriale, recentemente approvato dal Cda della Cassa, sono state messi a disposizione oltre 50 mila miliardi di euro per il sostegno all’economia. Si tratta di un impegno equivalente a quello messo in campo dalla consorella tedesca KFW, conosciuto come il grande “Crisis Offensive Plan” voluto dalla Cancelliera tedesca Angela Merkel. Anche nel caso del Piano CDP si tratta di interventi che non pesano sulla finanza pubblica.
Se il nostro Paese ha fatto meglio degli altri non c’è che da rallegrarsi. Non vanno tuttavia nascosti i problemi del nostro debito pubblico. Eredità degli anni Settanta ed Ottanta esso ha “sottratto” risorse all’economia pari a circa una Finanziaria all’anno per oltre 15 anni a solo per pagare il suo servizio. E si tratta di molti denari che avrebbero certamente potuto essere usati per abbassare le tasse o per finanziari gli investimenti.
La riduzione del debito pubblico è quindi un obbiettivo ineludibile. Come farlo? Ci sono varie strade possibili. Attraverso l’avanzo primario (ovvero spendere meno di quanto si incassa con le tasse, al netto dei costi sugli interessi). Obbiettivo politicamente difficile poiché circa l’80% della spesa pubblica è sociale (nessun governo occidentale negli ultimi 15 anni ci è riuscito a tagliarla).
Stimolando la crescita attraverso le riforme. Una possibilità anche se negli ultimi 15 anni in Europa la media della crescita è stata pari al 2% (ci vuole almeno il 3% per fare scendere rapidamente il rapporto debito/Pil). Potrebbe essere che le nostre sono ormai economie a crescita quasi stazionaria, malgrado le riforme.
Il debito pubblico può ancora essere ridotto attraverso una forte iniezione di inflazione. Una ricetta drastica, ma con conseguenze sociali drammatiche. Oltretutto siamo nell’Euro e la BCE giustamente non lo consentirebbe.
Attraverso le privatizzazioni? È rimasto molto poco da privatizzare. E comunque le grandi aziende ancora a controllo pubblico sono quelle che vanno meglio (mentre quelle privatizzate lasciano assai da desiderare, come ha osservato ieri lo stesso Giulio Tremonti). Oltretutto, l’insieme delle partecipazioni ed aziende in mano al Tesoro ridurrebbero, se messe sul mercato, poco più di 4 punti il rapporto debito Pil. Poca cosa se confrontata con i pingui dividendi che danno all’azionista Tesoro ed con il ruolo strategico che rivestono per la nostra economia in Italia e all’Estero.
La strada per ridurre il debito italiano (e più in generale di quello di tutti grandi paesi avanzati che con la crisi si sono tutti avvicinati al 100%) sarà quindi per tutti una “camminata nel deserto”. Va comunque sottolineato con forza che in Italia, a differenza di altrove, durante la crisi non è stato speso un solo euro dei contribuenti è per salvare le banche ed i banchieri. E questo non è poco.