Decidendo gli espropri, l’Abruzzo è stato terremotato per la seconda volta

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Decidendo gli espropri, l’Abruzzo è stato terremotato per la seconda volta

19 Maggio 2009

Le situazioni di emergenza, si sa, sono nemiche della libertà e del diritto. Lo si vede ogni giorno a proposito della crisi finanziaria, dato che l’esigenza di intervenire a “salvare il salvabile” ha permesso ai governi di espandere oltre ogni limite la propria sfera d’azione.

Il Regno Unito è in tal modo diventato un gigante del credito (avendo nazionalizzato larga parte del settore finanziario), mentre gli Stati Uniti hanno rovesciato una quantità ingente di denaro sulle proprie imprese. Qualcosa di simile è successo un po’ ovunque, premendo pure sull’acceleratore del deficit.

Nelle situazioni di emergenza la necessità di agire comunque porta ad agire anche malamente, come si è visto in occasione degli espropri decisi dal responsabile della Protezione civile, Guido Bertolaso, al fine di realizzare quelle abitazioni provvisorie che dovranno ospitare i cittadini dell’Aquila fino a quando non potranno tornare nelle loro case.

La scelta di espropriare, però, è da contestarsi da più punti di vista. In primo luogo, una società liberale poggia sul diritto e in particolare sul diritto di proprietà. Come ha spiegato anche un conoscitore della storia sovietica, Richard Pipes (autore di Proprietà e libertà, edito da Lindau), “esiste un’intima connessione tra le garanzie pubbliche del diritto di proprietà e la libertà individuale”. È insomma impossibile una società libera dove la proprietà non è rispettata.

Cosa è successo in Abruzzo? Per far fronte alle esigenze di alcuni (i terremotati) si è deciso di sottrarre i mezzi di sostentamento ad altri (i proprietari dei terreni). Bertolaso ha pensato che in questa situazione non fosse sensato prestare attenzione alle ragioni del diritto di proprietà. Ma in questo modo ha “terremotato” l’Abruzzo una seconda volta.

Bisogna infatti sempre ricordare che i palazzi sono importanti e quando cadono vanno ricostruiti. Ma sono egualmente importanti i “principi”, le “regole”, le “istituzioni”. Una vera ricostruzione dell’area abruzzese colpita dal terremoto esige che gli edifici vengano sistemati. Ancor più cruciale, però, è che non vengano fatti crollare i principi che permettono ad una società di progredire nella civiltà.

Il decisionismo di Bertolaso, per giunta, rafforza una convinzione che gli italiani nutrono da tempo: e cioè che il potere può tutto e che quindi può anche sottrarre ad alcuni per aiutare altri. Ma è a partire da queste convinzioni che si è sviluppato un po’ ovunque quel cancro che avvelena la nostra vita pubblica e che porta ad una politicizzazione di ogni ambito.

Si poteva fare diversamente? Penso di sì. Penso proprio che si potesse interpellare i singoli agricoltori e offrire loro – come si usa tra persone civili – un’adeguata compensazione per la rinuncia: e penso pure ritengo che la maggior parte di loro avrebbe capito.

Per giunta, come ha suggerito un lettore sul sito Chicago-blog, in fondo non c’era nessun bisogno di sottrarre la proprietà a quei proprietari: bastava chiedere una locazione temporanea. In questo modo, si sarebbe posto anche un limite temporale alla permanenza delle abitazioni di emergenza. E poiché nessuno vuole che in Abruzzo si ripetano scene già viste in altre circostanze (con famiglie nei container anche parecchi anni dopo il disastro), fissare fin dall’inizio una scadenza sarebbe stato un gesto di serietà e avrebbe offerto la precisa conferma di un impegno.

Dopo i guasti dei crolli, con i loro morti e i loro feriti, ora L’Aquila rischia un’altra catastrofe: più sottile, ma non per questo da sottovalutare. Questa terra rischia che la decenza e il rigore della popolazione vengano corrosi dal potere, abilissimo nel mostrarsi ora gentile e ora minaccioso, generoso e spietato, disposto a finanziare al 100% i danni subiti da alcuni, ma anche pronto a espropriare da un giorno all’altro i legittimi proprietari.

C’è un “rischio Irpinia” che grava sugli aquilani, insomma. E non è un rischio da poco.