Decreto liquidità, perdonali perché non sanno quello che fanno!

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Decreto liquidità, perdonali perché non sanno quello che fanno!

Decreto liquidità, perdonali perché non sanno quello che fanno!

08 Aprile 2020

Finalmente i nostri decisori pubblici sembrano avere compreso che per attutire gli effetti della crisi da Covid 19 sull’economia occorrono risorse economiche adeguate alla ampiezza e alla gravità delle conseguenze, ma anche e soprattutto occorrono interventi immediati. Ogni intermediazione burocratica toglie efficacia a qualunque tentativo di consolidamento e rilancio in tal senso.

Già nell’immediatezza dei primi interventi, si era notato che creare un pesantissimo apparato di norme, codicilli, disposizioni in deroga, e poi necessità di interventi di secondo livello, affidati a decreti, circolari, linee guida, provvedimenti attuativi di vario genere e contenuto indebolisce la forza di qualunque manovra di aiuto. Se poi occorre valorizzare le risorse finanziarie non certo infinite, ancora di più. Perché, nella migliore delle ipotesi, l’effetto auspicato è destinato a manifestarsi solo a mesi di distanza dalla esigenza per la quale si interviene, e cioè quando quella situazione di crisi avrà già prodotto licenziamenti, chiusura di impianti e siti produttivi, cessazioni dell’attività, insoluti che risalgono nella catena del valore amplificandone gli effetti negativi nell’intero sistema.

Occorre, quindi, intervenire bene e presto, per tamponare la falla e consentire di ripartire al più presto.

Ma se questa affermazione viene ripetuta con sempre maggiore insistenza (ed era ora), non sembra accompagnata da condotte coerenti. Pare, invece, diffusa una irresistibile tentazione di annuncio fine a se stesso, completamente scisso dalla verifica degli effetti realmente prodotti dalla misura e dalla possibilità di testarne la concreta manifestazione e in che misura.

Anche questa volta, purtroppo, le avvisaglie che si scorgono sulla rotta delle misure recentemente approvate sembrano proseguire in questa tendenza.

Si annuncia una mole estremamente significativa di risorse finanziarie messe a disposizione del sistema produttivo per consentirne la ripartenza. Che vuol dire, non appena sarà consentito riprendere la produzione o riaprire le attività. Ma questo dovrebbe richiedere un apparato regolatorio in grado di funzionare pressocchè automaticamente e immediatamente dopo la sua approvazione (e, perché no, pure dopo il suo annuncio con tutte le modalità di comunicazione reputate confacenti a conquistare il massimo di audience possibile).

Purchè però accada presto.

In questo caso, invece, si continua a confondere nella vulgata resa disponibile le risorse finanziarie messe a disposizione con quelle mobilitate, equivocando (strumentalmente?) sul volume finanziario in grado di essere attivato complessivamente se e quando misure di garanzia pubblica riescano ad accompagnare processi di erogazione di finanziamenti da parte del sistema creditizio. In altri termini, è l’effetto leva generato dalle risorse messe a disposizione per consentire un più ampio e più snello afflusso di finanziamenti a imprese e famiglie da parte del sistema creditizio.

È doveroso precisare che una pretesa di intervento pubblico affidato, in una contingenza come quella in esame, solo ad erogazioni a fondo perduto sarebbe improponibile: sia per le implicazioni finanziarie dirette (molte meno risorse risulterebbero disponibili per il sostegno e la ripartenza dell’economia), sia per la valenza distorsiva che potrebbe produrre, sterilizzando ancora di più la capacità di reazione del sistema economico produttivo, che non deve essere assistito, ma semmai supportato per momenti limitati e con finalità precise.

Ma un approccio che – correttamente – miri a rendere disponibili con maggiore facilità per le imprese risorse finanziarie essenziali in questo quadro deve risultare in grado di funzionare per davvero, a prescindere dall’annuncio di turno.

Prendiamo ad esempio una delle misure bandiera del nuovo intervento, quella della garanzia pubblica concessa (attraverso società a controllo pubblico) per credito privato alle imprese. È un obiettivo positivo e benefico. Peccato che nella migliore delle ipotesi arriverà nell’ultima casella di un non scontato iter quando, forse, sarà troppo tardi.

Della nuova possibilità di credito beneficeranno le imprese in ragione del fatturato annuo o del costo del personale per il periodo di imposta 2019, come risultanti dall’ultimo bilancio approvato. Soluzione corretta, perché evita di premiare chi abbia evaso le imposte. Peccato, però che il d.l. n. 18 di marzo 2020 ha differito la scadenza per l’approvazione dei bilanci al 30 giugno 2020; e quindi tante società non hanno ancora dei bilanci da utilizzare per estrapolare quei dati. Non certo per sciatteria o inettitudine gestionale, ma perché siamo nel bel mezzo di una situazione eccezionale: non solo per melensi proclami pseudopatriottici o appelli alla retorica di istituto come armi di distrazione di massa, ma perché chi ogni giorno deve condure un’impresa o un’attività economica, piccola o grande che sia, soffre sulla propria pelle e su quella dei propri dipendenti e collaboratori di dovere fare i conti impossibili con un improvviso blocco imposto, ma risultando completamente solo di fronte alle avversità del consueta complicazione burocratica (privata non meno di quella pubblica, sia chiaro).

Quindi, in piena contraddizione con l’annuncio scaturito dal precedente decreto di venti giorni fa, occorrerà riprogrammare adempimenti e scadenze, provvedere alle relative incombenze, nei limiti in cui ciò sia consentito, tenuto conto delle necessità di pubblicazione per le assemblee societarie e della esigenza di rispettare termini minimi di comunicazione. E in assenza di bilanci approvati (come, ad oggi per la gran parte delle imprese, cioè dei destinatari di misure presentate come salvifiche per il sistema produttivo) i dati richiesti dovranno essere certificati. Quindi bisognerà preparare una domanda e un dossier a conforto (escludendo, con un certo ottimismo spericolato, che nel frattempo qualche zelante amministrazione non colga l’opportunità per intervenire con circolari, comunicati, precisazioni di turno, in grado di imporre ulteriori adempimenti, passaggi procedurali, esigenze documentali del caso).

Poi – finalmente – bisognerà cominciare l’iter istruttorio con la banca, che potrà erogare il finanziamento solo se, e nella misura in cui, la garanzia pubblica occorrente sia accordata; cioè all’esito pur sempre di una valutazione del merito di credito, a sua volta legato a variabili oggettive e soggettive destinate necessariamente a proiettarsi sui tempi e sull’esito dell’istruttoria.

Tutto questo richiederà un tempo tecnico, dipendente da una somma di fattori (a volte anche casuali) ma che ragionevolmente sembra potersi dire aggravata dalla entità delle richieste e dalla capacità di smaltimento da parte delle strutture amministrative di banche e prestatori di garanzia configurate per operare “in tempi di pace”, non certo in queste condizioni. Forse non tutti i nostri decisori pubblici sanno che le banche hanno ridotto da qualche tempo gli orari di apertura al pubblico, ricevono solo su appuntamento, hanno contingentato le forme di interlocuzione non fisiche con la clientela, sono già investite da una mole di istanze e pratiche connesse ai primi effetti della crisi.

Per far funzionare realmente il meccanismo ipotizzato occorre una rodata cinghia di trasmissione corta e spedita tra l’impresa e chi dovrà erogare il finanziamento, tenuto conto di tutti i soggetti, gli organi e le istituzioni coinvolti.

Ne deriva uno scenario in cui non è realistico ipotizzare un concreto e tangibile risultato per le singole imprese prima di qualche mese dall’annuncio. Sempre che l’esito sia favorevole, esito niente affatto scontato. E senza volere sottolineare che già sono escluse le imprese in difficoltà o con partite debitorie deteriorate. Cioè proprio i soggetti sull’orlo del baratro economico, evidentemente abbandonati a se stessi o, peggio ancora, all’aiuto interessato di chi, senza vincoli di burocrazia e procedura, possa mettere a disposizione immediata la liquidità occorrente, di incerta origine, senza scrupolo alcuno e con chiari obiettivi criminali.

Ma nessuno si augura che quel complesso iter possa trovare il suo approdo quando sarà ormai troppo tardi, perché la carenza di liquidità non risolta avrà verosimilmente già soffocato la capacità di sopravvivenza dell’impresa. Forse non è chiaro, senza una minima conoscenza del reale, che ogni impresa, se non può stare sul mercato, e prima di poter contare su flussi finanziari nuovi, evidentemente ha una possibilità di sorpavvivenza prima di soccombere non infinita, ma limitata dalla capacità di cassa non assorbita dalle altre incombenze. E qui, forse, emerge come difficilmente comprensibile la scelta di non adottare subito misure di differimento degli obblighi di versamento fiscale ben più ampi di quelli consentiti dai provvedimenti di marzo 2020: in definitiva, sarebbe stata una immediata ed automatica disponibilità di liquidità alle imprese in proporzione ai rispettivi obblighi fiscali.

Oppure, di non dare corso immediato alle procedure di pagamento dei crediti vantati dalle imprese nei confronti della P.A. per prestazioni già erogate, e quindi con evidenze immediatamente disponibili e non soggette a decisioni discrezionali.

Occorre, piuttosto, rassegnarsi all’evidenza della irresistibile necessità per la nostra classe di decisori pubblici di fare a meno di un prolungamento della fase di elaborazione e adozione delle misure finchè queste possano cominciare a produrre effetti. Con tutte le variabili legate a meccanismi non automatici e pervasi di discrezionalità e casualità.

Un approccio alternativo, per esempio, potrebbe essere quello di partire dagli ultimi dati fiscali acquisiti dal sistema tributario per riconoscere, immediatamente e proporzionalmente, misure automatiche di sostegno occorrenti in questa fase. Cioè le dichiarazioni, i versamenti, le anagrafiche già acquisiti al sistema tributario: basti pensare alla semplificazione (che può non apprezzare solo chi non abbia mai dovuto imbattersi nelle esigenze di provare a dare applicazione a soluzioni di varia complessità pratica) derivanti dal non dover ripetere, estrapolare o riprodurre dati già in possesso della impenetrabile struttura (privata non meno che pubblica, si ripete) con cui si interloquisce. Senza contare l’effetto altamente simbolico di un meccanismo in grado di operare senza ulteriori mediazioni, e quindi mai come ora capace di infondere coraggio e fiducia in una ripartenza che non è sempre scontata.

È un approccio certamente perfettibile, non tiene conto delle variazioni già prodotte dallo scorso esercizio, così come non può applicarsi per chi non fosse in attività nel precedente esercizio, ma consentirebbe di saltare buona parte della fase istruttoria per la gran parte delle imprese e delle partite IVA.

goberno

Perché evidentemente qualcuno non si è accorto che in questa fase per salvare il nostro ceto produttivo non di annunci e proclami c’è bisogno, né di regali o ammiccanti promesse di elargizioni, poi annegate in adempimenti e procedure non diverse dalle consuete sabbie mobili di un’ordinarietà che appare lontana anni luce. Ma di misure concrete che rispondano ad un fabbisogno di liquidità immediato.

E queste istanze realisticamente si possono fronteggiare prendendo consapevolezza dei pericoli derivanti dalla incapacità, confortata solo dall’autocompiacimento da annuncio di turno, di vedere i danni irreversibili per il sistema produttivo continuando a rimanere ancorati a (sedicenti) interventi di sostegno che si ostinano a rifiutare automatismi e radicali abbattimenti di tradizionali intermediazioni attuative.