Decreto rifiuti, Papa e Milanese: il campo minato del Cav.

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Decreto rifiuti, Papa e Milanese: il campo minato del Cav.

19 Luglio 2011

Che il vertice notturno di Arcore non avesse prodotto granchè lo si è visto qualche ora più tardi in Aula. Maggioranza divisa sul decreto rifiuti che slitta di un giorno dopo una seduta tesissima a Montecitorio, con Pdl e Lega su posizioni diverse e le opposizioni a tirare calci nella speranza di buttare giù il Cav. Che in queste ore cammina su un terreno minato e tra le ‘mine’ non c’è solo la monnezza di Napoli ma pure la ‘grana’ dei casi Papa e Milanese sui quali pende una richiesta di arresto. Oggi si vota su Papa, ma il passaggio è strategico e in un certo senso può aprire la strada al voto successivo, quello sull’ex collaboratore di Tremonti, che oggi ha scritto alla Camera per dire che sì, si acceleri sull’autorizzazione ad acquisire i tabulati telefonici e le cassette di sicurezza come chiesto dalla procura di Napoli. Mossa della serie: non ho nulla da nascondere.

Il decreto rifiuti. Segnali di stallo fin dal mattino, ieri, quando il tentativo della maggioranza di chiedere il ritorno del provvedimento in Commissione per ulteriori approfondimenti viene respinto dall’Aula. Segue un ‘bilaterale’ per trovare l’intesa ma il Pdl deve anche fronteggiare la protesta dei deputati campani (Cosentino e Cesaro in testa) che quel decreto vorrebbero portare a casa come atto politico forte di un governo che si fa carico dell’emergenza. Non va giù il niet della Lega che, invece, nel suo campo deve fronteggiare altri problemi: da un lato mantenere una linea di coerenza con il no votato sullo stesso testo dai ministri leghisti qualche settimana fa a Palazzo Chigi, dall’altro tenere a bada la base che dopo Pontida ha messo il Carroccio alla prova dei fatti.

Non è finita: perché gli umori della pancia leghista Maroni li ha capiti e tradotti nel ‘manifesto’ della corrente che vorrebbe spezzare il ‘cerchio magico’ attorno al Senatur e magari ridiscutere (politicamente) l’asse di ferro col Cav., o addirittura guardare già oltre. Problema identico sul caso Papa e la linea che alla fine il capogruppo Marco Reguzzoni annuncia ai cronisti, dice molto sulle divisioni interne. Qual è la linea? Sì all’arresto, non chiederemo il voto segreto, lasceremo libertà ai nostri deputati. Che è il modo più democristiano per uscire dalle sabbie mobili: quelle in cui stanno i leghisti più garantisti e filo-berlusconiani e gli oltranzisti, cioè i maroniani, più inclini a cavalcare (per motivi di consenso) l’onda lunga e giustizialista dell’antipolitica. E’ un gioco rischioso quello del Carroccio perché non si può essere di lotta e di governo quando si sta in maggioranza e, appunto, si governa. E se si vuole sparare sulla ‘casta’ per recuperare i voti in uscita, non si può brandire il vessillo e poi opporsi pervicacemente all’abolizione delle Province (punto del programma elettorale). C’è qualcosa che non torna.

Il triplo salto carpiato di Bossi su Papa e la prudenza su Milanese sono due facce della stessa medaglia. E tuttavia non si può mettere a rischio la stabilità della maggioranza preoccupandosi di più delle beghe di partito. A che gioco gioca la Lega? “Al suo gioco…”, è la risposta irritata nei capannelli pidiellini a Montecitorio, tanto per dire qual è il clima di queste ore.  E tra i più navigati c’è chi evoca il ‘gioco del topo col gatto’. Di che si tratta? Un berlusconiano ‘navigato’ lo mette giù così: oggi Bossi cita Craxi e dice che fu un errore mandarlo in galera senza processo.

Ma il leader socialista in carcere “non ci andò perché il Parlamento – con voto segreto – respinse la richiesta di autorizzazione a procedere e molto tempo dopo il Senatur ammise di aver fatto votare sì all’arresto di Craxi per aizzare la piazza contro i partiti. In quegli anni la Lega stava eccome coi magistrati milanesi…”. Cosa c’entra il gatto e il topo? C’entra perché, paradossalmente, sono gli schemi contrapposti ma speculari di Bersani e Bossi. Il leader Pd ha tutto l’interesse a dosare un certo numero di voti democrat contro l’arresto di Papa, per due motivi. Il primo: evitare il cortocircuito nella coincidenza tra il voto su Papa (Pdl) alla Camera e quello su Tedesco (Pd) al Senato. Bersani ha già detto che il Pd è favorevole alle manette sia per l’esponente pidiellino che per quello del suo partito. Ma ad irritare i vertici di Largo Nazareno ci sarebbe l’iniziativa del vicepresidente dei senatori Latorre di chiedere proprio domani il voto dell’Aula di Palazzo Madama.

Iniziativa che si presta allo schema dei tatticismi incrociati che potrebbero innescarsi tra maggioranza e opposizione nei due rami del Parlamento, proprio in virtù del voto a scrutinio segreto. Il risultato visto con preoccupazione è che alla fine si ottenga il contrario di ciò che si dice, ovvero che Papa e Tedesco vengano ‘salvati’, giocandosi il feeling con la piazza e gli elettori. Latorre non ci sta e rilancia: “ Su vicende di questa natura non possono esserci miseri scambi politici e strumentalizzazioni”.

Il secondo motivo: nel segreto dell’urna Bersani tenterà di ‘inchiodare’ Bossi accusando la Lega di aver salvato Papa tradendo quanto dichiarato pubblicamente. E’ anche per questo che Bossi ha cambiato tre versioni in tre giorni. “ Per depistare”, spiegano dalle parti di via dell’Umiltà.  

Pdl in pressing per evitare l’arresto di Papa ma al di là dei singoli casi e coerentemente, sta portando avanti una battaglia garantista che ha come fondamento il principio – sacrosanto – della tutela delle prerogative parlamentari contro ogni tentativo di ingerenza della magistratura. Concetto ribadito nella riunione notturna del gruppo alla Camera dove Alfano va a dire di non aver cambiato idea sul partito degli onesti ma il Pdl non sarà mai il partito delle manette. Il partito non ha respinto l’autosospensione di Papa e non è che col voto contrario al suo arresto si bloccano le indagini o si impedisce l’accertamento della verità. Esiste anche un altro principio che per il Pdl va rilanciato in questo clima da caccia alle streghe: la tutela del Parlamento e delle sue funzioni.

Situazione complicata. Il Cav. vede all’orizzonte il clima di Tangentopoli e dentro la maggioranza deve fronteggiare un alleato che dimostra di esserlo ma a corrente alternata. Sul decreto rifiuti, poi, il premier rischia di fare una figuraccia a livello nazionale e internazionale, se come pare il provvedimento oggi  potrebbe essere ritirato e magari riformulato. Una mossa per prendere tempo, anche in virtù del fatto che l’ordinanza del Consiglio di Stato ha di fatto autorizzato il trasferimento dei rifiuti fuori regione e a dicembre si pronuncerà con una sentenza. E però, c’è da fare i conti col Colle che non avrebbe gradito l’idea di ‘congelare’ il decreto.

Come se ne esce? Nessuno lo sa. Per ora si naviga a vista. Anzi, a giorno.