
Dei diritti e dei doveri degli stranieri in Italia

30 Gennaio 2014
Nell’Italia ferita dalla crisi non è semplice avviare una discussione tra le forze politiche sulla immigrazione, anche se sarebbe il momento giusto per farlo, in vista del semestre di presidenza della Unione Europea. A Bruxelles l’Italia ripartirà dallo stallo della “Strategia di Stoccolma”, cioè dal piano operativo per la Giustizia e gli Affari Interni che non è riuscito a incorporare del tutto il complesso portafoglio delle politiche migratorie e va ripensato allineandolo agli obiettivi di Europa 2020. Gli obiettivi non cambiano: costruire una Europa libera e sicura che sappia accogliere profughi e rifugiati; rendere i Paesi europei attraenti per i lavoratori stranieri con alte competenze alimentando l’incontro tra domanda e offerta di lavoro; rafforzare le politiche di espulsione degli illegali.
L’Italia si trova oggi esposta e protagonista su tutti i fronti, a cominciare da “Mare Nostrum”, la missione umanitaria decisa dopo la strage di Lampedusa dell’ottobre 2013 per prestare soccorso ai migranti e pattugliare i confini meridionali dell’Europa che va consolidata con gli altri partner europei dando piena attuazione al Frontex e al sistema europeo di sorveglianza delle frontiere (Eurosur). Aggiungiamo che la protezione va offerta a singole persone perseguitate per motivi politici o religiosi ma non può essere assicurata a interi popoli in fuga. O perlomeno l’Italia non può farcela da sola.
SCUOLA E LAVORO. Il limite della Strategia di Stoccolma è stato mettere al centro i programmi, ora dobbiamo rimettere al centro le persone, attrarre talenti e professionalità straniere che rendano ricco e sviluppato il nostro Paese. Ci scontriamo infatti con fenomeni opposti come l’aumento degli italiani che cercano lavoro all’estero: esportiamo ma non importiamo abbastanza cervelli.
La situazione economica degli immigrati in Italia negli ultimi due anni è peggiorata. Secondo i dati del Ministero del Lavoro, il numero dei lavoratori stranieri disoccupati o inoccupati è salito a 1 milione e 800 mila persone, mentre il 20 per cento delle famiglie immigrate si impoveriva. Si sta generando una inedita concorrenza tra lavoratori italiani e stranieri, con i primi che sempre più spesso contemplano la possibilità di svolgere mansioni che in precedenza era ricoperte in prevalenza da immigrati. L’esercito della manodopera non occupata si è ingrossato senza che negli stranieri scaturisse il desiderio di lasciare il Paese: il numero di rimpatri volontari o assistiti è ancora troppo basso.
L’Italia deve diventare una meta appetibile per professioni capaci di soddisfare la domanda interna di lavoro più innovativa e in perenne evoluzione; bisogna valorizzare le traiettorie individuali positive degli immigrati e favorire l’ingresso di lavoratori che arrivano nel nostro Paese, soggiornano per un periodo di tempo limitato e poi tornano a casa o scelgono altre destinazioni. Scienziati o manager ma anche infermieri e personale sanitario: parliamo di un personale esperto che in futuro ci contenderemo con le economie del boom asiatiche e con grandi Paesi come Brasile e Messico. La politica dei flussi va resa più flessibile semplificando le regole e combattendo il nero, serve un approccio di mercato con soluzioni sperimentali, per esempio un sistema a punti legato a occupazione, reddito e formazione professionale che faciliti l’ingresso fuori quote e aiuti a stabilizzare gli “overstayers”.
Scuola e università sono il retroterra di una integrazione basata su lavoro, professioni e servizi qualificati. Il nostro sistema dell’istruzione può offrire alti standard agli studenti stranieri, premiandoli con borse di studio quando dimostrano di aver frequentato in modo proficuo gli studi e di aver fatto propri i nostri valori costituzionali. Grazie ai figli aiuteremo le famiglie nei processi di inserimento e di regolarizzazione garantendo loro le necessarie politiche sociali. Gli stranieri che s’impegnano facendo volontariato vanno premiati e si potrebbe immaginare un contributo magari volontario per i nuovi arrivati destinato alle attività su base associativa legate a una determinata comunità.
Dobbiamo anche favorire la liberalizzazione dell’insegnamento dell’italiano all’estero, affiancando agli Istituti di cultura italiana e al gruppo di testa delle università pubbliche che offrono tali servizi una rete concorrenziale di enti formativi che siano in grado di attestare la conoscenza della lingua italiana all’estero e di facilitare l’ingresso per studio, formazione professionale o ricerca universitaria in Italia.
LIBERTA’ E SICUREZZA. Riesaminare il reato di clandestinità in chiave amministrativa nel caso di primo ingresso non è stato un tabù ma ad uscirne rafforzato deve essere il sistema dei rimpatri e delle espulsioni. Bisogna procedere con maggiore celerità nell’espulsione, anche coatta, degli illegali, di chi entra e soprattutto resta illecitamente nel nostro Paese sfruttando i contorcimenti dei tempi giudiziari, le procedure di esecuzione delle espulsioni dilatate da mille proroghe, ricorsi e rinvii.
Adam Kabobo, il ghanese che ha ucciso a picconate tre persone a Milano, era arrivato in Italia chiedendo asilo politico. La richiesta è stata respinta in prima istanza ma lui ha fatto ricorso. Ha continuato a vagabondare dalla Puglia alla Lombardia prima di compiere il suo odioso “rampage”. Perché non provare ad applicare la regola di un solo appello direttamente in Cassazione?
L’approvazione delle nuove norme per anticipare la identificazione degli illegali in carcere vanno nella giusta direzione. Anche i centri di identificazione e di espulsione non sono un totem: si può ridurre a 30 giorni il limite massimo di permanenza in queste strutture come del resto prevedeva la Legge Turco-Napolitano. Di nuovo, ciò che conta è accompagnare alla frontiera chi non può restare in Italia, con unità specializzate di Pubblica sicurezza e tramite una logistica funzionale alla fermezza richiesta.
Va sottolineato che il Ministero dell’Interno ha di recente sottoposto a verifica il funzionamento dei Cie e si prepara a estendere la rete Sprar per la richiesta di asilo o dello status di rifugiato da 3 mila a 16 mila posti. L’intero sistema dei centri di accoglienza può essere razionalizzato superando le denominazioni correnti e dando vita a “hub” dove velocizzare le procedure per la richiesta di protezione o asilo.
Per riunire le competenze disperse tra i vari ministeri, per connettere il centro e la periferia, per dotarsi di un sistema tecnologico e informativo che registri le entrate e soprattutto le uscite, per riequilibrare gli impegni presi dalle Regioni e dai Comuni, si potrebbe creare un Ufficio Centrale del Governo sulla Immigrazione che operi direttamente per conto del Presidente del Consiglio. A organismi di raccordo del genere potrebbe toccare di ridiscutere in fase di accordi bilaterali i progetti di cooperazione allo sviluppo che vedono l’Italia impegnata con Paesi terzi, per esempio esercitando delle pressione sui consolati che rallentano le operazioni di identificazione dei loro connazionali.
I risultati delle politiche migratorie vanno infine comunicati all’opinione pubblica, che ormai è abituata esclusivamente alle narrazioni umanitarie sui campi Rom o alle denunce pur necessarie del giornalismo d’inchiesta. Il Governo dovrà superare la logica delle statistiche e dei benchmarks, per coinvolgere gli italiani in una riflessione generale su dove si trovano gli stranieri in Italia, cosa fanno, come stanno contribuendo a modificare l’ambiente in cui viviamo. E’ in questo modo che si combatte l’euroscetticismo dilagante che è anche la percezione da parte di una fetta consistente della cittadinanza che la politica nazionale sia poco capace di gestire i fenomeni migratori.
DIRITTI E DOVERI. Non entriamo nel merito della discussione sulla cittadinanza, un tema su cui le forze che compongono la attuale maggioranza hanno posizioni difficilmente compatibili. Diciamo che le culture di provenienza non devono entrare in rotta di collisione con il nostro assetto valoriale. Il duplice relativismo epressione delle teorie multiculturalista o assimilazionista ha avuto come conseguenza quella di ghettizzare gli stranieri. Integrazione e sicurezza, accoglienza e legalità, sono invece facce della stessa medaglia: l’incontro non è mai quello tra culture astratte bensì tra persone concrete che accettano di condividere un quadro di regole comuni. Gli immigrati devono godere dei nostri stessi diritti, delle nostre stesse opportunità, ma questi diritti vanno bilanciati con i doveri che discendono dal fatto di vivere nel nostro Paese. Sono doveri da onorare senza eccezione. Il dovere di rispettare la legge. Il dovere di imparare a parlare la lingua italiana e di conoscere la nostra tradizione nazionale. Il dovere di contribuire con il proprio lavoro allo sviluppo della comunità.