Demografia e previdenza, perché è cruciale il rientro dei cervelli
02 Settembre 2024
Negli ultimi anni, molti laureati italiani hanno lasciato il nostro Paese in cerca di migliori opportunità lavorative e di un futuro più stabile. E 7 su 10 non vogliono tornare in Italia a lavorare, secondo il Rapporto AlmaLaurea 2024. Questa migrazione costante è stata alimentata dalla difficoltà di trovare un impiego adeguato in Italia, dove spesso i giovani faticano per anni prima di ottenere un lavoro con uno stipendio adeguato: milleseicento, millesettecento euro netti al mese in media per gli Under 35, secondo i dati dell’Osservatorio JobPricing aggiornati al 2022.
La mancanza di opportunità professionali, unita a una scarsa valorizzazione delle competenze e a salari bassi, spinge molti a cercare fortuna all’estero. Se un rapporto di Svimez ha calcolato che negli ultimi 20 anni circa un milione di giovani hanno lasciato il Sud, non va meglio al Nord. Sempre Almalaurea rileva che oramai i giovani che risiedono o hanno studiato al Nord e lasciano l’Italia sono il doppio che al Sud. La polemica sulla “fuga dei cervelli”, spesso, ha un valore retorico, considerando che la globalizzazione ha aumentato a dismisura la mobilità del lavoro, come pure le opportunità che una esperienza di lavoro all’estero, anche lunga, può dare in termini di curriculum e di crescita personale.
Ma il problema è che le menti più brillanti che se ne vanno non tornano, dopo i costi che lo Stato ha sopportato per formarli. Per invertire questa tendenza il governo ha scelto la strada degli incentivi fiscali rivolti a chi decide di rientrare dopo un’esperienza lavorativa all’estero. La normativa per il rientro dei cervelli nel 2024 prevede esenzioni fiscali fino al 70% del reddito imponibile per cinque anni. Le agevolazioni si estendono alla creazione di nuove imprese, con sgravi fiscali per i primi anni di attività, nonché finanziamenti agevolati per start-up innovative.
Un altro passo cruciale è aumentare gli investimenti in ricerca e sviluppo, rafforzando la collaborazione tra università e imprese, sia per offrire esperienze professionalizzanti, sia per attirare talenti stranieri. È l’altro volto della questione: non solo i giovani italiani se ne vanno, ma soprattutto nel Sud del nostro Paese le università non riescono ad attrarre future competenze qualificate. Diventa quindi essenziale promuovere programmi di ricerca, master, dottorati, in lingua inglese e competitivi a livello internazionale, magari in collaborazioni con istituti di ricerca esteri.
L’obiettivo è riconquistare o trattenere almeno una parte delle generazioni che oggi cercano fortuna altrove, trasformando questa sfida in un’opportunità di crescita per l’intero Paese. Il futuro dell’Italia non può essere altrove; deve rinascere qui, con uno sguardo rivolto all’importanza cruciale dei giovani per la stabilità del quadro demografico e previdenziale.