Deve essere l’individuo e non lo Stato il principale motore dell’economia

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Deve essere l’individuo e non lo Stato il principale motore dell’economia

Nel dibattito sulla dimensione dello Stato e sul ruolo che dovrebbe svolgere nel sostegno ad una società attiva una partita importante, eppure trascurata, gioca la libertà personale intesa come affermazione della propria individualità attraverso il processo di scelta. Se una persona ha diverse possibilità tra cui scegliere e se esercita la propria scelta con consapevolezza, non solo è libera, ma è anche autonoma e la scelta fa germogliare e rafforza questa sua condizione di essere autonomo, capace di perseguire il proprio disegno di vita. La libertà è quindi condizione affinché si manifesti l’unicità di ciascun uomo, realizzata attraverso il controllo autonomo sulle scelte della propria vita. Si tratta di una interpretazione della libertà che, poiché riguarda la capacità di realizzare il proprio progetto di vita, ha da fare anche con il senso di giustizia sociale e con la dimensione dello Stato. Vediamo perché.

Giustizia sociale e libertà sono intimamente legate. Un alto grado di disuguaglianza (ingiustizia) è accettabile solo se conseguenza di comportamenti ascrivibili alle scelte responsabili delle persone. Se in una società il successo del mio vicino dipende dal fatto che sia un gran lavoratore e se è mia convinzione che anche per me sarebbe possibile raggiungere i suoi risultati se solo il mio impegno fosse pari, percepirò eventuali differenze sui redditi rispettivi come riflesso di un processo equo di distribuzione delle risorse.

Se essere liberi è essere autonomi ed essere autonomi è avere controllo sulle proprie scelte, saranno proprio le persone autonome a ritenere il successo economico la conseguenza di un processo equo di distribuzione delle risorse e ad esprimere preferenze politiche per sistemi redistributivi di dimensione modesta e poco invasivi. La percezione dell’autonomia si candida quindi a giocare un ruolo significativo nella determinazione della dimensione ottimale e nel disegno del welfare state.

Prendiamo il caso dell’Italia. Utilizzando informazioni tratte dal database del World Value Survey, è possibile notare che dove è più alto il livello di autonomia delle persone, maggiore è la fiducia in se stessi e più elevata la percezione che le proprie condizioni economiche dipendano dalle capacità e dall’impegno profuso piuttosto che dalla fortuna o da privilegi e rendite di posizione. Nelle aree del paese dove maggiore è il livello di autonomia, è più favorevolmente accettata la disuguaglianza nella distribuzione del reddito, perché percepita come legittima conseguenza del diverso impegno e delle differenti capacità dei singoli. Al contrario, nelle aree del paese in cui il livello di autonomia è basso, è diffusa l’opinione che l’impegno non paghi e che siano la fortuna (per esempio, essere nati in una famiglia benestante) o il privilegio (avere amici o parenti influenti) le determinanti principali del successo economico. Non dovrebbe sorprendere, quindi, se in queste aree la disuguaglianza è considerata ingiusta ed è condiviso il sostegno a politiche pubbliche di riequilibrio della distribuzione del reddito, proprio per la diffusa percezione di ‘illegittimità’ che pesa sul successo economico.

Ma dove risiedono gli individui più autonomi? Le figure 1 e 2 mostrano che le aree con la maggiore concentrazione di persone che si ritengono autonome sono il Nord-Est e il Nord-Ovest; quelle che mostrano bassi livelli di autonomia sono, invece, il Sud e le Isole. E c’è di più. Un’analisi dei dati riportati nella Figura 1 rivela che, per esempio, nel Nord-Est l’elevato grado di autonomia è associato ad un maggior favore verso una distribuzione diseguale del reddito. Diversamente, nelle isole il basso livello di autonomia è correlato ad una diffusa opinione che le differenze tra i redditi debbano essere compensate. Da un esame della Figura 2, inoltre, emerge che le aree del paese con un più alto grado di autonomia sono anche quelle più dinamiche e più ricche poiché la diffusa consapevolezza che l’impegno e le capacità individuali pagano nel tempo incentiva gli individui a investire su se stessi e a scommettere sulle proprie capacità.

Possiamo estrarre due conseguenze per la politica economica. Anzitutto, quel sistema economico che ha garantito benessere al Mezzogiorno attraverso politiche assistenziali ha anche spiazzato il livello di autonomia degli individui innescando un circolo vizioso che oggi è difficile rompere. Le politiche redistributive finalizzate a colmare il differenziale di reddito tra le regioni del paese hanno alimentato la mancata crescita del Mezzogiorno: maggiori trasferimenti di reddito, minore autonomia, minore fiducia nel merito e nelle capacità individuali, minore crescita economica.

Secondo, poiché la riforma dello stato sociale non può essere realizzata se non con il consenso degli elettori, è impensabile che ciò accada senza il passaggio da un sistema economico in cui le capacità, l’impegno ed il merito degli individui non sono valorizzati ad un altro in cui gli individui si affidano alle loro capacità convinti di essere artefici del proprio futuro. Questo passaggio, basato sulla centralità dell’individuo, sulla sua libertà di scelta, sui principi della concorrenza e della sussidiarietà rappresenta quel cambiamento di ampio respiro, al tempo stesso economico e culturale, che non solo modifica il funzionamento dei settori tradizionali del welfare, ma contribuisce a riproporre l’individuo e non lo Stato come principale motore dell’economia, vendicando i precetti del liberalismo.

Figura 1

Figura 2

 

 

 

Sebastiano Bavetta (Università di Palermo e University of Pennsylvania)

Pietro Navarra (Università di Messina e University of Pennsylvania)