Di cosa parliamo quando parliamo di sviluppo del Paese

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Di cosa parliamo quando parliamo di sviluppo del Paese

16 Aprile 2016

Il cosiddetto referendum sulle trivelle ci fornisce lo spunto per alcune considerazioni sulla strada che sembra aver imboccato il nostro Paese. Evitiamo scientemente la polemica sulla speciosità e farraginosità del quesito referendario proposto, per ragionare invece su come in Italia la politica affronti problemi di caratura strategica. Specchio di una nazione allo sbando, che purtroppo, ogni giorno, fa strame della propria già poca credibilità internazionale.

Siamo un Paese dipendente per circa il 90 per cento del fabbisogno energetico dall’estero che si permette di fare del sofismo sulla diversificazione delle fonti di approvvigionamento, peraltro a fronte di una comprovata sicurezza dei nostri impianti offshore. Una nazione dove qualsiasi soluzione trova un ostacolo – si parli di petrolio o delle rinnovabili – nel nome di quelle pratiche NIMBY (Not In My BackYard, “non nel mio giardino di casa”, ndr) sempre più aggressive e irragionevoli, che danno l’idea di una comunità nazionale oramai ripiegata sui propri microegoismi.

Siamo l’unico posto al mondo dove la scoperta di un pozzo di petrolio o di un giacimento di gas sono considerati più un problema che un veicolo di ricchezza e benessere. D’altra parte, non riusciamo neppure a gestire i nostri rifiuti e paghiamo profumatamente per mandarli all’estero. Lo scorso anno, con tanto di emendamento sottoscritto da autorevoli Senatori, siamo stati sul punto di rendere perseguibile con il carcere la pratica dell’airgun, facendo insorgere il fior fiore della ricerca scientifica nazionale che si sarebbe visto privato, dall’oggi al domani, di un importante strumento di ricerca perché… potenzialmente nocivo per i capodogli.

Come se si rendesse penalmente perseguibile l’utilizzo dei Raggi X perché potenzialmente nocivi per la salute umana. Ma, in prospettiva, non ci stupiremmo perché in Italia, ad esempio nel comparto industriale, stiamo arrivando all’impossibilità di intraprendere, non solo per le enormi difficoltà burocratiche, ma anche perché ogni interazione con l’ambiente è divenuta potenzialmente criminogena. Certo, questo accade perché spesso, a fronte di una ipertrofia e farraginosità normativa, la furbizia e le scorciatoie usate da qualcuno hanno provocato danni ingenti. Ma gettare il bambino con l’acqua sporca è diventato il modo di mondare la nostra coscienza.

In fondo,anche in questo caso, si tratta di una scorciatoia attraverso la quale dare risposte immediate, visibili, vendibili sul piano massmediale e al diavolo l’intervento in grado di fornire soluzioni in linea con la realtà dei problemi. Siamo un Paese impazzito dove sull’onda dell’emotività si crede che siano prevedibili giorno e ora dei terremoti e dove si passa dalla richiesta della pena di morte per qualsiasi reato all’amnistia per tutti i detenuti. Una nazione che, nonostante la sua posizione geostrategica, una piattaforma logistica nel bel mezzo del Mediterraneo, non riesce a dotarsi di infrastrutture materiali e immateriali adeguate, sprecando fiumi di risorse in porti, interporti e aeroporti senza senso, e lasciando senza opere dell’‘ultimo miglio’ le infrastrutture strategiche.

L’India ci porta in giro da anni sulla vicenda Marò e i nostri alleati europei ci fanno affari miliardari dopo che l’Italia sceglie puntualmente di autoaffondarsi con inchieste e indagini che sfociano nel nulla più assoluto. Decidiamo di reagire duramente con l’Egitto dopo che un nostro concittadino è stato barbaramente torturato ed assassinato e la Francia, contestualmente, chiude affari miliardari con il Cairo. Nel contempo, sempre nello scenario nordafricano, a pochi chilometri delle nostre coste, in Libia, dopo l’uccisione di Gheddafi, Francesi e Inglesi sono presenti con i loro reparti speciali e curano, anche con la forza, i loro interessi, mentre noi cerchiamo, in loco, accordi irrealizzabili e al limite del ridicolo, sapendo che da lì in estate arriveranno migliaia e migliaia di profughi che ricadranno principalmente sulle nostre spalle.

Un giorno, poi, qualcuno ci dovrà spiegare perché i nostri Marò sono stati mandati ad operare senza una chiara linea di comando e senza un adeguato supporto logistico militare. Un giorno qualcuno ci spiegherà perché siamo uno dei Paesi più militarmente esposti del mondo con migliaia di soldati italiani inviati nei paesi più incredibili, ma non siamo presenti lì dove dovremmo difendere la preminenza dell’interesse nazionale. Per non parlare dell’ultima chicca, l’Austria che blinda il Brennero e Gentiloni che reagisce duramente, affermando che così si uccide lo spirito di Schengen. Peccato che dai tempi di quell’accordo il mondo sia cambiato radicalmente e forse ne avremo piena contezza e coscienza quando l’Austria si riannetterà il Sud Tirolo, gli schutzen marceranno su Roma e il nostro ministro degli Esteri dirà che gli accordi di Versailles sono stati barbaramente disattesi.

In questo bailamme la politica nazionale e locale sono parti attive. Basta guardare la dialettica dei diversi partiti sul referendum di domenica prossima. Poco importa il tema specifico e la sua importanza, ciò che conta è avere un risultato, qualsiasi esso sia, da usare come un’arma per delegittimare l’avversario, per poter dire che non rappresenta la maggioranza dei cittadini. Saremo forse controcorrente, ma si sente drammaticamente l’assenza di uno schieramento politico serio, capace di guardare in faccia la realtà per quello che è, avendo come stella polare l’interesse nazionale e la credibilità e l’efficienza del sistema paese.

Noi vogliamo costruire questo. Questo l’obiettivo, mettendo dinanzi alle proprie responsabilità chi, a destra come a sinistra, è capace solo di ragionamenti strumentali e fa della retorica sloganistica la propria unica arma politica. Basta. Basta con l’improvvisazione, basta con l’incapacità che abbiamo di dare spazio alle nostre voci più credibili e preparate, basta con l’immagine e l’apparenza come surroghe della politica, basta con l’inadeguatezza che mostriamo nel farci carico delle scelte necessarie per guardare con speranza al futuro e riacquisire quella credibilità drammaticamente smarrita oramai da troppo tempo. Basta a una politica incapace di assumersi le responsabilità che le competono, delegando ad altri le scomodità del decidere.

Basta a una politica che tra il difficile sentiero in salita dell’accettare le sfide che ci riguardano e la dolce discesa in un lento declino da lotofagi sceglie quest’ultimo comodo viatico. Perché l’importante è vivere il presente ed il domani sarà un problema di chi verrà dopo di noi. Basta con tutto questo. Perché ciò che davvero alimenta una comunità nazionale e dà concretezza a un futuro degno e possibile è la capacita di condividere un passato, ma soprattutto di farsi carico con forza e orgoglio delle difficoltà del presente.