“Di fronte al rischio crollo dell’euro, l’Italia deve avere un piano B”

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“Di fronte al rischio crollo dell’euro, l’Italia deve avere un piano B”

“Di fronte al rischio crollo dell’euro, l’Italia deve avere un piano B”

15 Giugno 2012

La probabile uscita della Grecia dall’euro; le politiche della Banca centrale europea per contrastare la crisi recessiva che attanaglia l’Europa; il rischio deflazione ed un’eventuale unione doganale dei paesi mediterranei dell’eurozona. Di questo e altro, L’Occidentale ne ha parlato con Paolo Savona, economista e già ministro dell’Industria nel governo Ciampi.

Parliamo del possibile collasso dell’euro. Qualora la Grecia, assieme ad altre nazioni dell’eurozona, dovesse uscire dall’unione monetaria europea, come tale evento impatterebbe le altre nazioni europee, a partire dall’Italia e la Spagna?

Per la Bce l’uscita della Grecia dall’euro sarebbe un dramma; la Germania sembra essere di parere contrario. Se si vuole proteggere l’euro è meglio non rischiare il dramma e così dare una lezione alla speculazione. Ma il costo di tenere la Grecia dentro l’eurosistema è elevato se non si prendono decisioni più ampie, come quelle da me suggerite per tempo: garantire tutti i debiti pubblici superiori al 60% del PIL e ripartire con il rigore di bilancio. Siamo invece arrivati al fiscal compact e si discute solo ora della possibilità di agire insieme sul debito. Non possiamo passare da salvataggio a salvataggio.

Crede che la Banca centrale europea diretta da Mario Draghi abbia messo in campo gli strumenti adeguati per fronteggiare la crisi recessiva che attanaglia l’Europa? Come giudica la mossa dei LTRO, i prestiti offerti alle banche europee in funzione anti-ciclica? Anche lei ritiene che sia mancata una ‘destinazione d’uso’ per quei prestiti?

La Bce ha fatto, anche se con ritardo, tutto ciò che era necessario fare; ha però tentato di servire due padroni: fronteggiare la speculazione e sollecitare la stabilità fiscale, mentre può e deve servire solo il primo. Non ha però sottolineato la natura di area monetaria non ottimale dell’euro che richiede la perfetta mobilità del lavoro, per inseguire i capitali che si dirigono verso le aree ‘’forti’’, e politiche fiscali compensative e non restrittive. L’intervento della Bce consente di guadagnare tempo, ma non risolve i problemi, neanche quello di garantire il finanziamento delle imprese. Se lo tentasse dovrebbe servire non due, ma tre padroni. Per incanalare il credito verso la produzione occorre che Basilea 3 ed Eba applichino regole più blande a questa attività delle banche e più severe agli investimenti puramente finanziari, invece si carica il primo obiettivo degli errori della speculazione.

In più di un’occasione lei ha sposato l’idea di un’uscita dell’Italia dall’euro. Potrebbe spiegarci quali sarebbero i passaggi di un’operazione politica del genere e quali costi, e benefici, l’economia italiana trarrebbe da una mossa del genere?

Quando leggo che io avrei sposato l’idea di un’uscita dell’Italia dall’euro mi viene lo sconforto. La mia tesi è che un paese con una dirigenza seria deve avere un Piano A, come stare in Europa, e un Piano B, come uscire, valutando i costi dell’una o dell’altra soluzione e discutendone con i cittadini. Ho poi aggiunto: se l’Unione Europea decide di fare ciò che si deve per far funzionare bene l’eurosistema, secondo le linee indicate sopra, sarei lietissimo che l’Italia rimanesse nell’euro, perché è ciò di cui il mercato unico abbisogna. Se invece si lasciassero le cose come stanno, occorre affrontare la dura realtà, governando la secessione dall’eurosistema. Questa potrebbe non essere una nostra scelta, ma del mercato internazionale, il quale correttamente valuta che così com’è l’eurosistema si spacca.

Anche lei intravede in questa crisi recessiva il rischio deflazione come il finanziere-pirata George Soros?

Soros non è l’uomo della strada, ma un signore che in passato ha già messo in difficoltà parecchie monete, lira compresa. La sua dichiarazione conferma che il mercato non crede nell’euro. Forse è meglio dire che non crede ai governanti europei che persistono nel volerlo mantenere in vita nonostante l’handicap istituzionale.

La crisi delle finanze pubbliche europee sta dimostrando che il modello d’economia sociale di mercato è quasi defunto. Come deve essere ripensato il rapporto tra fisco, spesa pubblica ed economia reale in futuro? In Italia il mantenimento degli attuali livelli di spesa pubblica sembra ormai insostenibile? Oggi lo stato amministra, male, il 54% del Pil. Qual è la quota a cui lo stato dovrebbe scendere secondo lei?

Non sono d’accordo. Il modello di welfare, anche riformato a seguito degli abusi perpetrati, è oggetto di un massiccio attacco del capitalismo old fashion di cui Keynes aveva troppo affrettatamente scritto l’elogio funebre in un celebre saggio – mi riferisco a “The end of laissez-faire”. Si è rivitalizzato a seguito di una tacita alleanza perversa con il postcomunismo che, per dare il benessere ai suoi cittadini, affama parte di quelli che il benessere lo hanno già raggiunto. La globalizzazione senza regole sociali è un serio attacco al livello di civilizzazione dell’uomo e, purtroppo, i governi occidentali, anche di sinistra, lo hanno assecondato.

Si discute molto di Germania di questi tempi. Dello strapotere di Angela Merkel. E’ indubbio che Berlino stia sommando sempre più potere politico, economico e creditizio in questa crisi. Cosa dovrebbe fare il governo italiano per uscire dalla logica del placet berlinese?

La Germania ha ben governato la sua economia, ma ha beneficiato dei vantaggi di vivere in un’area monetaria non ottimale che tiene fermo il rapporto di cambio dell’euro in posizione per essa sottovalutata. Se rispecchiasse la realtà, l’euro-tedesco andrebbe a 1,80 rispetto al dollaro e le cose cambierebbero anche per loro. Questa soluzione, tuttavia, finirebbe per uccidere le economie deboli, il cui rapporto di cambio dovrebbe essere 0,80 o giù di lì. Questo è ciò che significa “area monetaria non ottimale” e le conseguenze sono: la Germania e pochi altri crescono e l’Italia e quasi tutti decrescono. Anno dopo anno, fino al degrado.

Secondo lei è percorribile l’idea di un’unione doganale dei paesi dell’Europa mediterranea – Italia, Spagna, Portogallo e Grecia – che si costituiscano blocco dentro, ma al limite anche fuori, dall’Ue?

Sarebbe concepibile, anche se non auspicabile. Come avvenne per la Comunità Europea, questi paesi potrebbero decidere di fare l’unione politica e divenire il nucleo costitutivo della “nuova” Europa. Gli altri potrebbero restare fuori o decidere di entrare, soprattutto perché guadagnerebbero da un euro-mediterraneo svalutato del 25-30%.

Qualora l’Italia dovesse rimanere nell’eurozona e Bruxelles riuscisse davvero a imporre agli stati nazionali nuove e più stringenti regole politiche, quale prezzo pagheranno gli italiani?

E’ ciò che chiedo a chi dispone di modelli matematici aggiornati. Io posso solo dare una valutazione sulla base della mia personale esperienza di previsore. La disoccupazione si raddoppierebbe entro un triennio e la situazione sociale e politica diverrebbe incontrollabile. Desideriamo questo?