Di fronte al valore alpino non è possibile trattenere la commozione
03 Gennaio 2011
"Siamo il primo mezzo della colonna, ogni metro potrebbe essere l’ultimo, ma non ci pensi. La testa è troppo impegnata a scorgere nel terreno qualcosa di anomalo, finalmente siamo alle porte del villaggio… Veniamo accolti dai bambini che da dieci diventano venti, trenta, siamo circondati, si portano una mano alla bocca ormai sappiamo cosa vogliono: hanno fame…".
Così raccontava qualche tempo fa il Caporalmaggiore Matteo Miotto in una lettera inviata al Gazzettino. A quelle parole che trasmettevano insieme il senso del pericolo per una morte spesso in agguato e la speranza dei bambini che ti si fanno intorno per chiederti da mangiare si aggiungono le altre da lui pronunciate: "In testa quel copricapo con la penna per noi è sacro" o, ancora, "Nonno ti sei sbagliato, la guerra l’ho vista anch’io".
Non ci è possibile contenere la commozione che l’esempio di Matteo ci provoca né trattenere le lacrime per il suo riferimento all’altissimo senso del proprio compito, un compito in grado di trascendere l’esperienza personale per abbracciare nel nonno i padri e in essi un senso di Patria da cui non possiamo non trarre profonda ispirazione.
Matteo trova la morte in Afghanistan ma il suo sacrificio e le sue parole ci regalano ed onorano di una testimonianza eroica nel nome del Tricolore e della massima espressione delle virtù civili della nostra tradizione nazionale.
La libertà ha bisogno di eroi come la fede di santi. A ridosso delle celebrazioni per i suoi 150 anni, oggi l’Italia piange un Eroe civile che dalla sua Thiene lancia un invito irrifiutabile a raccogliere nel Valore Alpino, nello spirito di corpo dei "veci e dei bocia" e nella tradizione uno dei sensi più profondi della nostra comune avventura civile.
Onori al Caporalmaggiore Matteo Miotto! Suoni "Il Silenzio".
Tratto dal blog "La Mano Invisibile"