Di fronte alla mistificazione referendaria l’Abruzzo ha poco da esultare

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Di fronte alla mistificazione referendaria l’Abruzzo ha poco da esultare

14 Giugno 2011

di F. C.

L’affluenza alle urne in Abruzzo per il voto sul referendum è in linea con il dato nazionale: si è attestata al 57%. Nemmeno la geografia del voto tra le diverse province offre spunti di lettura eclatanti in termini di affluenza e di risultati. Chieti in testa (con il 59,88%), poi Teramo (59,84%). Poco sotto la media nazionale Pescara e ultima L’Aquila (54,29%). Molti i sì, con punte del 97,12%.

Quello a cui abbiamo assistito è stato tutto fuorchè un voto per il futuro dell’Abruzzo. E’ stato un voto "di pancia", un voto di protesta, nel migliore dei casi. Un voto strumentalizzato e mistificato, nel peggiore. Nel momento più sbagliato e con lo strumento più sbagliato, si sono prese decisioni importanti. E di ciò, presto o tardi, chi oggi esulta dovrà assumersi la responsabilità.

Ad essere obiettivi, su alcuni dei quesiti referendari la vittoria è stata quasi simbolica. Sul nucleare, infatti, il governo aveva di fatto preso posizione: con il decreto Omnibus aveva già bloccato l’attività legata all’individuazione dei siti dove installare i reattori. Senza contare che un argomento così delicato come il futuro energetico del Paese non può essere consegnato all’emotività. Siamo in pieno clima antinucleare. E se non può parlarsi di aperto terrore, ci si va molto vicini. Il disastro di Fukushima ha lasciato un segno indelebile e l’esito della votazione non poteva che privilegiare una vittoria del sì. E lo stesso discorso vale per il legittimo impedimento: cambia poco o nulla, perchè la norma di fatto era già stata corretta dalla Corte costituzionale.

Ma la mistificazione più grande è andata in scena sull’ultimo dei quesiti, quello relativo all’acqua. Saranno soddisfatti i "salvatori": nessuno si potrà "impossessare" di un bene pubblico primario. E’ ovvio che la questione, così posta, non poteva che risolversi con un voto plebiscitario. Peccato che mai nessun si sarebbe sognato di privatizzare l’acqua. L’acqua era e sarebbe rimasta di tutti. Ciò che si voleva fare, invece, era intervenire sulla gestione idrica e trovare un sistema più efficiente per evitare che le condutture continuassero a somigliare a un colabrodo.

Insomma, questi sono i frutti di una cattiva informazione e di una strumentalizzazione contro le quali, si può condividere o meno, la tentazione di disertare le urne è stata forte. Così ha fatto anche il presidente della Regione, Gianni Chiodi, che ha spiegato: "Non sono andato a votare perché c’è stata una forte strumentalizzazione, da un punto di vista politico, di questo referendum". Questioni trattate con superficialità, dunque, che, avverte il governatore, si tradurranno in bollette energetiche più care, perdita di competitività delle imprese da un lato e sprechi e malagestione dall’altro.

Tutto vero. Però è inutile piangere sul latte versato. Bisogna piuttosto chiedersi perché si è lasciato che l’onda emotiva del malcontento prendesse il sopravvento. E soprattutto interrogarsi sul perché ad ingrossare le fila dei sì abbiamo contribuito anche tante croci degli elettori di centrodestra che a votare ci sono andati.

Ciò che inequivocabilmente le urne hanno dimostrato è che si è fatta sempre più larga la perdita di contatto della politica con il Paese. Bisogna ragionare sugli errori commessi. Prendendone atto, senza illudersi di poter fare finta di niente.