Di Pietro, dalle mani pulite alle mani libere (sulla TV)
19 Febbraio 2008
A nome di chi parla Di Pietro? La sortita dell’ex PM, che ha reso noto su Internet il programma dell’Italia dei Valori, ha spinto più di un elettore a porsi questa domanda. Non solo perché i punti del programma sono undici, ciascuno dei quali prevede almeno tre proposte: e siamo a trentatré obiettivi effettivi, che quasi triplicano i dodici proposti da Veltroni due giorni fa all’assemblea del Partito Democratico, fresco di accordo preelettorale con l’Italia del Valori. Ma anche e soprattutto perché, tra questi undici-capitoli-trentatre-punti se ne distinguono tre (quattro, stando al blog dell’ex PM di Mani Pulite) che riguardano in particolare l’informazione e l’assetto del sistema radiotelevisivo, tanto pubblico quanto privato.
Se il candidato premier del PD aveva accennato in puro stile “ma-anchesco” al pluralismo e al superamento del duopolio televisivo nell’ultimo punto del suo dodecalogo, Tonino non si accontenta: al capitolo “informazione”, il quinto del suo programma, spiega dettagliatamente che intende ridurre le emittenti pubbliche a una, non sostenuta dalla pubblicità; che vuol vietare a qualsiasi concessionario privato (come Mediaset, spiega poi sul suo blog per farsi capire da chi di dovere) di possedere più di una rete, e infine che si propone di eliminare i finanziamenti pubblici all’editoria. Nel blog aggiunge inoltre un obiettivo cruciale, usando il lessico che gli è più familiare: l’”esecuzione” della “sentenza” relativa a Europa 7, correlata allo spostamento di Rete 4 sul satellite. Il modo in cui lo fa è di per sé eloquente quanto un ulteriore punto programmatico: al termine di un post dedicato al caso Biagi (Enzo, non Marco), in cui stigmatizza le dichiarazioni di Berlusconi che, intervistato da Gianni Riotta, aveva ricordato il giornalista.
Sarebbe facile infierire sui limiti di una simile proposta: domandarsi se davvero ridurre l’azienda radiotelevisiva di Stato a una sola rete senza pubblicità voglia dire arricchire il servizio pubblico, o se in una repubblica (ancora) democratica sia possibile applicare con tanta leggerezza un veto alla proprietà privata, come suona la limitazione che si vorrebbe imporre a Mediaset. Ma poi, cosa significa limitarsi a una “rete”? Il buon Tonino vuole espropriare Mediaset delle frequenze (legittimamente acquisite sul mercato), o “solo” oscurarle, impedendo il loro pieno sfruttamento? Non sa, il buon Di Pietro, che con la transizione dall’analogico al digitale ogni frequenza può trasportare più canali, invece che uno solo come in passato? E allora, eliminiamo in toto il digitale terrestre di Mediaset, vale a dire l’unica offerta degna di questo nome attualmente esistente su questa piattaforma? E ancora: com’è possibile opporsi al finanziamento pubblico dell’editoria, dopo gli eventi che hanno interessato lo stesso houseorgan dell’Italia dei Valori?
Dubbi e perplessità non mancano: ma la domanda che interessa il famoso elettore resta un’altra. Di Pietro parla solo a nome suo o anche del PD? Se è alleato del Partito Democratico, non dovrebbe condividerne il programma? E allora, se presenta oggi il “suo” programma, ha per caso rinunciato all’accordo? Oppure bisogna aggiungere i trentatré punti dipietreschi ai dodici veltroniani, e fanno quarantacinque? Certo, non siamo ancora alle duecentottantuno pagine del fu programma dell’Unione, ma il problema politico è esattamente lo stesso. Che confermi o che smentisca le dichiarazioni del leader dell’Italia dei Valori, che si associ o si dissoci, che chiarisca o preferisca restare nel vago, Veltroni rischia di ricadere con tutte le scarpe nel baratro in cui è precipitato il suo predecessore. Un pericolo schivato dal suo avversario Berlusconi, che ha preferito rinunciare a Casini piuttosto che replicare un guazzabuglio in cui tutti hanno le mani libere e nessuno governa. Perché è ormai evidente che le mani libere, dopo le mani pulite, siano il nuovo obiettivo di Di Pietro: libere, di certo, per metterle sulla TV.