Di Pietro inguaribile moralista, anche quando fa il papà
21 Settembre 2011
di U. D. G.
Di Antonio Di Pietro ne esistono due: il leader nazionale di una forza politica come l’Italia dei valori, con molti scranni in Parlamento, un importante bacino elettorale e prospettive di crescita abbastanza ampie. Il Di Pietro che attacca il governo, che stringe alleanze, che forse aspira – un giorno, magari – a salire a Palazzo Chigi. E poi c’è il Di Pietro “molisano”, quello che quando ricopriva l’incarico di ministro delle Infrastrutture ha portato avanti una proficua collaborazione con il governatore Iorio, che ha fissato importanti tappe per arrivare – ad esempio – alla fase di avvio dei lavori dell’autostrada Termoli-San Vittore.
Il "contadino" Antonio, che fa la vendemmia, che si fa fotografare mentre guida il trattore, che rompe gli schemi del suo partito fino a costringere interi gruppi dirigenti cittadini ad abbandonare in massa l’Idv, che con una mano attacca Iorio, ma con l’altra dialoga costantemente con il presidente della Regione, accreditandosi come l’unica opposizione credibile in Molise, visti i disastrosi risultati elettorali del Partito democratico.
Quello molisano è anche il Di Pietro papà di Cristiano, il "figliol prodigo" con un passato in Polizia e da sempre sponsorizzato dal famoso genitore fino a diventare consigliere provinciale a Campobasso e candidato Idv alle Regionali che si terranno il prossimo 16 e 17 ottobre. Di fatto, un Tonino “nazionale” e un Tonino “locale”, finora rimasti spesso indistinti, ma che con l’avvicinarsi delle elezioni regionali si mostrano in modo lampante con l’aspetto di un "doppio volto". Una duplice veste che stride con l’immagine dura e pura che l’ex pm di "Mani pulite" ha sempre voluto mostrare di sé.
Ebbene, i fatti molisani contraddicono in gran parte la credibilità del Tonino nazionale. Il ragionamento fila liscio: Di Pietro stila le liste dei candidati Idv alla Regione; il figlio è un esponente locale dell’Idv; il figlio viene candidato alla Regione. Casualmente in una lista "favorevole", in cui spiccano molti personaggi "deboli" politicamente. Così i dirigenti del circolo dipietrista di Termoli, delusi dal comportamento "familiaristico" del loro leader, hanno fatto le valigie e lo hanno abbandonato. Lui non ha fatto una piega, ha preso atto delle dimissioni e ha poi affidato la replica a un videomessaggio pubblicato sul suo blog.
La linea difensiva è ruotata attorno a un concetto: Cristiano non è una versione molisana del "trota" (soprannome di Renzo, il figlio di Umberto Bossi, candidato dal padre ed eletto alla Regione Lombardia), lui si è guadagnato la candidatura dopo aver fatto il consigliere comunale (guarda caso nel feudo di casa, Montenero di Bisaccia), quello provinciale e – testuale dall’intervento di Tonino – aver condotto una normale vita da militante di partito "attaccando da dieci anni manifesti e raccogliendo firme per i referendum, come tutti gli iscritti all’Italia dei Valori".
Queste le posizioni in campo, che lasciano a tutti la libertà di farsi un’idea. Naturalmente nessuno può pensare – come ha detto Di Pietro nella sua arringa a difesa del figlio – di togliere al cittadino Cristiano Di Pietro il "diritto politico" di candidarsi alle elezioni. Nessuno può ledere il diritto costituzionale che garantisce a tutti – indistintamente – la possibilità di partecipare alla vita pubblica del Paese. Nessuno, d’altra parte, può togliere agli altri il dubbio che su questa scelta possa aver influito anche il legame di parentela. Basterebbe solo ammettere che – quando si tratta di scegliere se mettere o meno in lista elettorale il proprio figlio – non c’è chi lo fa con valida "giustificazione" e chi no. È una decisione che si prende e che poi si sottopone all’elettorato. Di Pietro, almeno in questo, rinunci a fare il moralista.