Di ultras e guerriglia urbana Amato se ne lava le mani

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Di ultras e guerriglia urbana Amato se ne lava le mani

13 Novembre 2007

Come Ponzio Pilato. Della morte del tifoso laziale Gabriele Sandri e degli assalti ultras contro la polizia che hanno messo a ferro e a fuoco le caserme di mezza Italia il ministro dell’Interno Giuliano Amato se ne lava le mani.

«Noi abbiamo vissuto ore difficili – ha ammesso il responsabile del Viminale riferendo in aula alla Camera, sulla tragica domenica di sangue che ha lasciato sulla piazzola di sosta di un autogrill il corpo senza vita di un ragazzo di 28 anni, ucciso per errore da un colpo esploso da un agente della stradale – non siamo stati in grado di dare un’informazione tempestiva, ma non abbiamo occultato nulla che sapessimo».

Peccato che, nella giornata del caos e della battaglia campale contro le forze dell’ordine, il capo dell’Interno abbia fatto capolino con un primo intervento ufficiale solo nove ore dopo la “tragica fatalità”.

Un ritardo che non scalfisce la convinzione di Amato: «Una comunicazione più chiara sulle circostanze della morte di Gabriele Sandri – ha ribadito il ministro – non avrebbe comunque impedito ai violenti di comportarsi come si sono comportati».                                    Come dire, il Viminale è impotente di fronte alle esplosioni di rabbia e brutalità che per una sera hanno messo sotto scacco la capitale.

Ferendo, devastando e incendiando prima tutta la zona del Foro italico e poi ponte Milvio e il quartiere Flaminio. Costringendo i poliziotti a restare asserragliati nei loro fortini “per evitare una mattanza”.

E lo Stato ad arrendersi senza condizioni alla tempesta di molotov e bombe carta scatenata dalla teppaglia curvaiola grazie al tam tam degli sms e dei blog su Internet.

Scene di guerriglia urbana che rivelano la totale impreparazione del governo nell’analizzare, contenere e reprimere una spirale di violenza del tutto immotivata. Una catena di errori madornali nella gestione dell’ordine pubblico che non lascia spazio a giustificazioni di sorta.

Certo, l’osservatorio sulla Sicurezza del ministero dell’Interno ha ordinato lo stop alle trasferte di massa dei tifosi violenti e d’ora in poi i questori potranno sospendere le partite anche se le zuffe avvengono fuori dagli stadi. Fatto sta che domenica scorsa il Viminale ha perso il controllo della situazione, lasciando il paese  per un’intera notte, in balia di un gruppo di incappucciati facinorosi e pericolosi.

E facendo dell’avventato autore dell’omicidio il capro espiatorio di una giornata di straordinaria inettitudine politica.

«Gabriele Sandri – ha dichiarato il ministro davanti ai banchi di una Montecitorio semideserta – non sarebbe morto se una mano non avesse sparato, e questo è imperdonabile».

«L’uccisione del supporter laziale – ha aggiunto subito dopo, confermando la tesi di una regia eversiva degli scontri – è stata per i tifosi violenti l’occasione cercata e trovata per rialzare le bandiere ammainate dopo la morte di Raciti». Una “occasione di vendetta”, a nemmeno un anno di distanza dalla morte dell’ispettore catanese, a cui il Viminale non ha saputo opporre nient’altro se non una fatalistica accettazione della logica dell’illegalità.

Intanto ieri mattina sui muri della capitale sono comparse scritte minacciose contro la polizia, mentre a Milano, Bergamo e Taranto sono scattate le manette per decine di ultras coinvolti, secondo gli inquirenti, negli incidenti seguiti alla morte di Sandri.

I reati contestati vanno dalla violazione della diffida dallo stadio (Daspo) alla resistenza a pubblico ufficiale.

I funerali del giovane dj si terranno a Roma nella parrocchia di San Pio X. La Giunta comunale della capitale, riunita ieri in seduta straordinaria, ha proclamato due ore di lutto cittadino in concomitanza con le esequie. Il tutto mentre le pricipali “curve” italiane si organizzano  per essere presenti all’ultimo saluto al tifoso laziale: quelle della capitale, dove mercoledì a mezzogiorno si svolgeranno i funerali, ma anche quelle del nord.