Dialogare con Teheran? Solo se si parla di libertà

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Dialogare con Teheran? Solo se si parla di libertà

13 Febbraio 2009

A tre settimane di distanza dall’intervista del Presidente Obama ad al-Arabiya, durante la quale aveva aperto al dialogo con Teheran dicendo che “se l’Iran vorrà aprire il pugno troverà una mano aperta da parte nostra”, arriva un primo, timido, segnale di apertura da parte di Teheran. “La nostra nazione è disponibile al dialogo, se basato sul rispetto reciproco” ha detto nei giorni scorsi il presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad, in un discorso alla televisione pronunciato nell’ambito delle celebrazioni per il trentesimo anniversario della rivoluzione islamica del 1979.

Tale dichiarazione, tuttavia, arriva dopo che lo stesso Ahmadinejad aveva in precedenza sbattuto la porta in faccia al presidente statunitense dichiarando: “chi parla di cambiamento deve prima chiedere scusa al popolo iraniano, e porre rimedio ai passati crimini. […] Gli Stati Uniti mettano fine al sostegno dell’illegale e falso regime sionista, e risarciscano l’Iran per le interferenze americane degli ultimi 60 anni” ed infine “bisogna mettere fine alla presenza militare americana nel mondo, dovete ritirare le truppe e restare all’interno delle vostre frontiere”. Dunque qual è la verità? I mullah sono davvero disposti a trattare oppure è solo tattica?

In realtà è ancora difficile da dire, anche perché occorre considerare che il paese è in piena campagna elettorale, e la stessa mossa del presidente Obama sembra volta a creare le condizioni per un ritorno favorevole del “riformista” Khatami, che proprio pochi giorni fa ha rotto gli indugi ed annunciato ufficialmente la propria candidatura per le elezioni presidenziali del prossimo 12 giugno. Tuttavia se da un lato le aperture di Obama potrebbero favorire il ritorno di Khatami, che appare sicuramente più aperto al dialogo rispetto ad Ahmadinejad, dall’altro l’attuale presidente potrebbe rivendicare il merito di non aver ceduto ed avere costretto gli Stati Uniti a sedersi al tavolo dei negoziati senza precondizioni, dando l’impressione che la linea dura paga.

Tuttavia per capire meglio come stanno le cose occorre non dimenticare che le linee guida per la politica estera vengono dettate sempre dalla Guida Suprema, il quale, tra l’altro, ha l’ultima parola in fatto di candidature. Per questo motivo, molti analisti vedono nella decisione di ammettere Khatami alla corsa per le prossime elezioni un segnale dell’Ayatollah Khamenei verso gli Stati Uniti, che vedrebbero nell’allontanamento del “falco” Ahmadinejad un segnale distensivo. Obama però sembra dimenticare che fu proprio durante il precedente governo Khatami che si è sviluppato maggiormente il programma nucleare iraniano, come ha denunciato anche l’ultimo National Intelligence Estimate.

Dunque perché gli Stati Uniti dovrebbero preferire un falso moderato piuttosto che un vero falco? La risposta è semplice: perché Khatami rappresenta il volto presentabile del regime degli Ayatollah, e sarebbe molto più semplice far digerire un Iran nucleare guidato (si fa per dire, visto che il potere è in realtà in mano alla Guida Suprema) da Khatami, che non va in giro a minacciare apertamente Israele, piuttosto che uno guidato da Ahmadinejad.

Tuttavia gli Stati Uniti hanno un’occasione unica, perché mai come in questo momento l’Iran è in una situazione di difficoltà. La crisi economica ha colpito il paese in maniera durissima. Considerando che circa il 90% delle entrate iraniane vengono dal petrolio, il cui costo al barile è sceso da 140 a 40 dollari, è facile comprendere le difficoltà, soprattutto finanziare, in cui versa il paese. Se a questo si aggiunge che l’inflazione è al 30% e la disoccupazione continua a salire diventa evidente che la crisi internazionale ha aggravato quella iraniana, e  le sanzioni hanno fatto il resto.

Dal punto di vista politico le cose sembrano non andare molto meglio. La dura sconfitta di Hamas nella recente guerra contro Israele ha indebolito anche Teheran, così come un duro colpo è arrivato dalle elezioni irachene che hanno visto un voto fortemente contrario ai partiti islamici sciiti vicino all’Iran ed una importante affermazione dell’attuale presidente Al-Maliki. Nonostante i proclami e la propaganda la situazione è sempre più critica, ed anche i programmi militari ne risentono.

E’ vero che la scorsa settimana l’Iran ha annunciato di aver lanciato un proprio satellite per le telecomunicazioni "Omid" (speranza), il che dimostra che Teheran possiede la tecnologia necessaria a lanciare missili balistici intercontinentali, ma è anche vero che il razzo "Safir" (messaggio) utilizzato per trasportare il satellite sfrutta una tecnologia vecchia di cinquant’anni, simile a quella dello Sputnik.

La popolazione è allo stremo, il malessere ed il malcontento aumentano di giorno in giorno e con esse la repressione del governo (il numero di esecuzioni è ormai a livelli record). La società civile sembra una pentola a pressione, pronta ad esplodere da un momento all’altro. Gli Stati Uniti non possono far finta di niente, il Presidente Obama dovrà chiedere con maggiore forza innanzitutto le riforme necessarie affinché l’Iran diventi un paese davvero libero e democratico.

Gli Usa non devono rinunciare a difendere la libertà del popolo iraniano e non devono rinunciare a creare le condizioni che portino alla fine del regime islamico. Il resto verrà da sé, perché se l’Iran diventasse un paese libero e democratico, capace di vivere in pace con i propri vicini e di tagliare i propri legami con i terroristi di Hamas ed Hezbbollah, non dovremmo più preoccuparci del suo programma nucleare.